mercoledì 3 agosto 2011

La Madonna di San Pietroburgo

Sin dalla prima volta che mi si è materializzata dinanzi l'ho sempre considerata la Madonna del giornalismo. Lei, Concita De Gregorio, bionda, con la pelle leggermente ambrata, abbigliata da safari, ieri pomeriggio, se ne stava in prima fila al teatro valle ad ascoltare una lezione di drammaturgia di Fabrizio Gifuni. Io mi ero accucciata, come al solito, nelle retrovie. Conosco bene la platea del Teatro Valle, gioiello del 1700 in pieno centro a Roma. L'ho frequentata tante volte per lavoro e per diporto, da appassionata di teatro. Adoravo le introduzioni del direttore, squisito e gentile. Il pubblico del Valle è sempre stato curioso ed educato; persino durante gli spettacoli natalizi dedicati ai più piccini.
Il teatro si trova in via del Teatro Valle, dopo piazza Sant'Andrea Della Valle...Tutto qui parla di questo tempio della migliore cultura italiana, gestito dall'Eti (ente teatrale italiano, e chiuso in attesa della privatizzazione o (secondo alcuni) della trasformazione in un bistrot. Dire rivoltante è dire poco. Per fortuna, come nel caso dell'ex cinema Palazzo, la rivolta dei lavoratori dello spettacolo ha bloccato questo ennesimo scempio ed insulto alla cultura italiana da parte degli innominabili trogloditi. Attori, scrittori, sceneggiatori, studenti, e cittadini comuni si sono appropriati di questo spazio che è diventato un laboratorio permanente.
In due mesi circa di occupazione sul palco del Valle si sono alternati artisti, intellettuali, scrittori, giornalisti, attori, musicisti; ogni sera uno spettacolo, una discussione, una riflessione continua sullo stato della cultura e dei suoi operatori in questo paese. Se altrove la crisi non si sente, a Roma è tangibile in ogni dove, a cominciare proprio dal cuore pulsante di questa città, la cultura. Perché lo spettacolo non è fatto solo di lustrini e paillettes ma è fatto di uomini e donne che scrivono, recitano, muovo fili, cavi, cuciono e consentono all'intera macchina di muoversi e prendere vita per deliziare gli spettatori. A causa delle politiche errate di questo strampalato paese ciò potrebbe non accadere più perché il lavoro è tale se viene retribuito, altrimenti si chiama volontariato. Ma, tornando al Valle, a Gifuni, dicevo... Ieri, mentre il sole batteva sugli ombrellini dei turisti giapponesi a Corso Vittorio, all'interno del Valle Gifuni spiegava come è riuscito a dare anima e corpo alle parole di un genio della letteratura italia, Gadda. Sì insomma, l'autore de "L'ingegner Gadda va alla guerra" ha illustrato ad una nutrita platea come nasce uno spettacolo di teatro di narrazione, la forma teatrale che personalmente prediligo. Tutta la lezione è stata condotta attraverso i testi, da "Diario di Guerra e di Prigionia"- uno dei primi scritti di Gadda, in cui, ha sottolineato Gifuni, si coglie "il genio dello scrittore", perché è lì che Gadda sperimenta la sua lingua, diciamo la crea per poi perfezionarla negli scritti successivi- sino a "Quer pasticciaccio brutto di Via Merulana" e la "Cognizione del dolore" passando per "Eros e Priapo" e altri racconti.
Ascoltavo estasiata e rapita dalla voce suadente di Gifuni e pensavo a quanto lavoro c'è dietro ad uno spettacolo teatrale, ancor prima che venga messo in scena. Quanto ci vuole per scrivere un testo da recitare. Il lavoro di Gifuni è stato lungo; l'autore ha lavorato su se stesso e sull'autore alla ricerca di una chiave di lettura giusta, e l'ha trovata nella ferita mortale da cui è nata la scrittura di Gadda. Ma lavorare sui testi l'ha portato a confrontarsi con sé stesso, con la sua formazione e con la critica letteraria. E la passione che mette nel suo lavoro traspare dal modo in cui ne parla.
Ho incontrato spesso Gifuni con la moglie (credo) Sonia Bergamaschi al Valle e al Vascello. Il teatro per gli attori è vita e la loro ricerca è continua. Quando in Rai andava in onda, ad un orario decente, Cominciamo Bene Prima, chiunque avrebbe potuto essere erudito sui talenti del nostro teatro e sul loro modus operandi, ma ormai anche quella trasmissione è stata cancellata dal palinsesto di Rai 3. Peccato.
Avevo davanti a me uno dei migliori attori italiani, compagno di accademia di Luigi Lo Cascio e Alessio Boni, le rivelazioni della Meglio Gioventù. I mie pensieri erano apparentemente monopolizzati da Gadda, Paasolini e l'amore per il teatro. Ma, di tanto in tanto, gettavo uno sguardo su Concita, sempre in prima fila, silente ed attenta dietro le sue lenti scure.
L'ex direttora dell'Unità, giornalista della Repubblica, mi apparve per la prima volta nell'ascensore di Repubblica. Io ero lì perché dovevo incontrare il mio prof. Mi ero introdotta nel palazzo di vetro sulla Cristoforo Colombo come un topolino, convinta, quasi fosse una premonizione, che non sarei mai arrivata a lavorare in una di quelle magnifiche redazioni. Mi sentivo più piccola del solito, annichilita dalla fama del quotidiano di Scalfari e company, il giornale che ha sempre letto mio padre, il giornale che insieme con l'Espresso tengo appeso alle parenti della mia camera. Pensavo:"Che sfigata". E da Cenerentola mi sono tramutata in Ugly Betty quando la Madonna dei Comunisti mi si è parata dinanzi. Abitino corto anni 60' bianco e nero, scarpe alte, capelli biondi raccolti e trucco perfetto. Tornava in redazione alle quattro del pomeriggio e mandava sms dal suo cellulare. Io mi sono rincattucciata in un angolo dell'ascensore per paura di sgualcire con la mia presenza l'immagine della perfezione giornalistica e ho dimenticato di scegliere un piano. Ma la Madonna mi è venuta in soccorso; levando un sopracciglio e aggrottando la fronte, come se si fosse imbattuta in un'aliena, ha pigiato un pulsante rosso anche per me e l'ascensore si è mosso, ma ci ha abbandonate su piani diversi.
Dopo quell'episodio mi è capitato di vederla sbucare dalla folla, durante qualche manifestazione, preceduta da un fascio di luce bianca. Non era mai in disordine. Mai un capello fuori posto. Sempre perfetta nel suo stile radical chic. Madre di 4 figli, giornalista, scrittrice, direttora dell'Unità. Che dire? Un mito. Come fai a non sentirti una caricatura di una scribacchina davanti a cotanta maestà? E'inumano. "Adesso anche lei però è senza lavoro",
mi dicevo, cretinamente, ieri. E, ancora più stupidamente, mi domandavo: "dopo due anni circa da direttore, ora cosa farà? Tornerà a scrivere a Repubblica, su D, scriverà un altro libro?" Leggevo in un suo editoriale che era stata in Spagna, a parlare con gli indignados. Beh, certo la Conci non ha problemi di soldi, prende e parte, fa ciò che vuole. Se decide di fare un servizio giornalistico, è sempre la De Gregorio, l'accolgono col tappeto rosso. E'la Madonna di San Pietroburgo.
Un'altra sfigata al posto mio magari sarebbe stata invidiosa, gelosa, l'avrebbe biasimata, invece io seguitavo e seguiterò comunque ad ammirarla. Anche se non ha mai risposto alla mie mail. Anche se mi guarderà sempre con aria di sufficienza.
Magari se fossi stata una Veltroni's girl mi avrebbe considerata, o magari se le avessi proposto un servizio. Mah, e chi lo sa. Mi sarebbe piaciuto avvicinarla, ma cosa avrei potuto dirle? Cosa importa alla De Gregorio di una come me? Comunque vada lei non sarà mai precaria, collaboratrice, e decisa a mandare tutto a gambe all'aria per un lavoro normale che ti faccia mangiare senza troppe tribolazioni e paranoie esistenziali. Certe volte vorrei proprio essere sfacciata. E in questi giorni, in queste ore, in cui mi interrogo sul mio futuro, la Madonna Radical mi sembrava un faro nella notte. Eppure, spulciando su internet, scopro che anche il comunismo e l'altruismo della mia Maria è solo sulla carta. Anche lei si comporta, a quanto ne scrivono, come i peggiori rappresentati delle caste, anzi come diceva il mio prof di giornalismo economico, riferendosi ad alcuni colleghi lobbisti, delle sette.
A quanto pare, leggendo ciò che effettivamente la Madonna ha fatto per i precari dell'Unità, anche lei ha predicato bene e razzolato male.
Ecco qua:http://valeriacalicchio.blogspot.com/2011/06/se-la-direttora-va-via.html
L'autrice del post è un ex stagista dell'Unità, se vi prenderete la briga di leggere i commenti sottostanti, scoprirete lo stato del giornalismo italiano, delle redazioni in genere; molti "collaboratori" per mangiare lavorano come camerieri. E poi, quando fai questo mestiere, devi anche tollerare una pletora di invidiosi, rancorosi, livorosi, matte-matti, pettegoli e non saprei più come altro definirli...E c'è chi parla di caste...Ma va...Detto questo, concludo: preferisco la mia umanità alla santità di certi personaggi; a raccogliere ovazioni speculando sulla pelle dei giovani e malpagati collaboratori siamo bravi tutti. Ave Maria.

6 commenti:

  1. Il vero giornalismo, il potere autonomo della Stampa e della Televisione, in grado di piegare le ginocchia dei potenti, di ricercare una verità, scandagliando col setaccio il fondo dei fatti credo non esista più. Esistono ali di tifoserie che si inerpicano sui fatti per compiacere il padrone di turno oppure manipolano l'informazione come fosse plastilina per forgiarla nella forma più di moda.

    Tutto sembra legarsi alla mala politica, quella con la "p" minuscola, parola che pronunciamo con diffidenza, in un sussurro.

    Credo ancora in un giornalismo che informi, sia spunto di riflessione, formi le coscienze. In giro purtroppo vedo tutt'altro.

    Ti faccio un augurio sincero: spero che tu prima o poi possa fare la differenza.

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  2. Si fallisce alla fine di un percorso, mi pare di capire che tu sia ancora in gioco. Caricati (non a salve) vedrai che arriverà l'occasione. E' tutto un "lentamente costruire".

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  3. beh il mio, almeno uno, è finito. Adesso vedrò di iniziarne un altro che è più consono alle mie reali attitudini, ciascuno deve cercare la propria strada e saper riconoscere i propri limiti.

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  4. Giusto, si deve cercare una strada in cui esprimersi al meglio delle proprie possibilità. Spero di non essere stato indelicato, se è così me ne scuso. Sono sicuro che qualunque settore necessiti di una penna collegata al cervello potrà offrirti tante soddisfazioni. In bocca al lupo.

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  5. No assolutamente. Anzi, ti ringrazio per la stima e per la fiducia, in questo momento della mia vita ne ho bisogno. Speriamo bene, e crepi l'aquila come dicono a Roma.

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