sabato 8 marzo 2014

Fenomenologia dell'ovile: Misantropie









In questi giorni mi è capitato di ascoltare delle conversazioni in cui si affrontava il tema delle "comitive" e dei "gruppi" nonché la problematica dell'invito. Qualcuno degli interlocutori lamentava il fatto che una certa cerchia di persone, con la quale mi pare di aver capito non amava intrattenersi, avesse preso ad escluderlo dalle proprie attività ludiche. Un evento di cui gioire dal mio punto di vista, dati i trascorsi tra il povero infelice e il clan. Tuttavia costui se ne doleva come se l'esclusione fosse la prova tangibile dell'incompatibilità e si sa, laddove vale solo ciò che appare, ebbene salvare sempre e comunque la forma. 

A me hanno insegnato, o meglio un mio amico mi ha trasmesso in maniera molto efficace, questo messaggio: coloro che non ci vogliono non vanno affatto blanditi, riveriti e inseguiti. Non dobbiamo adeguarci a queste persone e modificare, o peggio, mortificare la nostra personalità per essere accettati; chi desidera la nostra compagnia e comprende il nostro valore ci accetta per quello che siamo e non ci fa mai sentire a disagio. Chi si comporta altrimenti non è degno della nostra considerazione. Tutto qua. 
Il mio amico in questione, in un'occasione ben precisa, nel corso di una riunione fiume di AC in canonica, ai tempi che furono, citò un episodio del Vangelo in cui Gesù Cristo in persona invitava i suoi seguaci a pulirsi i calzari sullo zerbino i chi non è accogliente e ad uscire voltandogli le spalle. Sulle mie pupille è rimasto impresso il gesto che Antonio fece per rendere meglio l'idea: pulirsi le scarpe sull'uscio e togliere il disturbo. 

Ecco, avrei consigliato lo stesso  all'escluso di turno che si sente discriminato perché gli appartenenti ad un clan metropolitano, alla tribù di Oviland, non gradiscono la sua presenza e non comprendono il suo essere. Caro emarginato, vai a casa di chi ti emargina con le scarpe lerce di fango; dopo avere attraversato un campo bagnato, bussa sorridente alla loro porta e, quando ti apriranno sorpresi recitando la parte di quelli buoni, bravi accoglienti, sì insomma snocciolando a memoria il copione del piccolo borghese che mamma e papà gli han fatto mandare a memoria fin da piccoli, una stucchevole sequela di "OhMioCaroMiDispiaceMaGuardaComeTiSeiRidottoOraTiPortoQualcosaDiCaldoEunaCopertaMaNonRestareLìSullaPOrtaENTRA!", mentre qualche altro ti guarderà dall'alto schifato, tu col sorriso sempre stampato sulle labbra pulisciti ben ben i calzari sul loro tappeto firmato, fai cadere pezzi di fango indurito sulla moquette ed esci di scena. recitando Molière:

"Riscontro dovunque solo vili lusinghe,
 ingiustizia, interesse, scaltrezza, tradimento; 
non posso contenermi, mi adiro, 
e mi propongo di mandare all'inferno tutto il genere umano". (Il Misantropo)



martedì 28 gennaio 2014

Yes I can!





Ogni qualvolta qualcuno mi dice che non posso fare una cosa, che non sono in grado di svolgere un'attività, che sono incapace, io penso a Michelle Obama. Ogni qualvolta qualcuno\a cerca di farmi sentire inadeguata, vorrebbe demoralizzarmi e attentare alla mia autostima, io con forza ancora maggiore prego con le parole di Michelle.



Dobbiamo sempre affrontare gli scettici. Gente che ci dice cio’ che non siamo capaci di fare. Non sei pronta. Non sei abbastanza brava. Non sei abbastanza intelligente. Sei troppo alta. Credo che ciascuno di voi abbia sentito queste parole, percepito queste barriere, sentito che qualcuno vi voleva trascinare in basso, voleva definire i vostri limiti, ma chi siete? Voi sapete dannatamente bene di cosa siete capaci. Sapete, tutte le volte che qualcuno mi diceva, ‘No questo non lo puoi fare’, ho scacciato i dubbi e mi sono seduta al tavolo”(Discorso di Michelle Obama al Benedict College di Columbia, Carolina del Sud, gennaio 2008. Da La first lady della speranza, di Elizabeth Lighfoot, Nutrimenti editore).


Ultimamente a quel tavolo io mi ci sono seduta spesso con la voglia di mettermi alla prova e fare qualcosa di insolito. Ho iniziato a sferruzzare. La passione, o meglio l'idea, è nata lo scorso anno e con grande pazienza ed umiltà ho cominciato. Senza alcuna pretesa ho imbracciato i ferri e tra un tutorial di YouTube e le lezioni di mia zia Emilia piano piano le maglie hanno preso forma. Diritto-rovescio, diritto-rovescio non era semplice per me restare concentrata soprattutto perché intorno a me c'era sempre qualcuno pronto a farmi desistere dal mio intento. Foderarsi le orecchi e proseguire per la propria strada è l'unica soluzione praticabile in ambienti ostili. E con l'aiuto di Michelle, Penelope ha tessuto e sfilato le sue tele combattendo una guerra molto personale contro i soliti detrattori, portatori insani di negatività.

Dopo un' invernata di esercizi, quest'anno ho confezionato il mio primo capello. Che soddisfazione! Ancora una volta mi sono sentita ripetere dai serial killer della voglia di fare:"Tu non sai cucire, si vede. Come ti permetti di metterti a fare certe cose?", ma non mi sono curata di loro, gli ho dato le spalle e sono tornata al mio tavolo da lavoro fischiettando"Michelle...Ma Belle...". Tanto più che chi denigra e oltraggia il lavoro altrui spesso non ne comprende neanche il valore né tanto meno è in grado di giudicare, lo fa solo ed esclusivamente per distruggere le speranze e l'entusiasmo.


Ci sono troppe Zie Polly in giro per il mondo. Se le sorelle Brontë, Charlotte ed Emily, quest'ultima soprattutto, avessero dato ascolto a  tutti quegli uomini che stroncavano le loro opere letterarie e consigliavano loro di smettere di scrivere e di dedicarsi ad attività "prettamente femminili", ovvero le faccende domestiche, capolavori quali Jane Eyre e Cime tempestose non sarebbero mai stati scritti!
Per fortuna anche loro erano caparbie come Michelle, il cui mantra mi aiuta a non demordere. E i riconoscimenti prima o poi arrivano. 

Avevo quasi concluso il mio secondo capellino- è il primo elemento di un set che comprende anche uno scaldacollo e dei manicotti. Il colore? Viola, con un pattern che ben si addice alle tricottatrici squinternate- quando mi sono accorta che la lana cominciava a scarseggiare e sono tornata in merceria per acquistare altri gomitoli. Per non sbagliare ho portato con me il campioncino che avevo realizzato prima di iniziare il lavoro e l'ho consegnato subito nelle mani della merciaia. Ho notato che lo guardava con interesse, l'ha poggiato sul bancone e ha preso ad analizzarlo da cima a fondo poi, con piglio deciso, mi ha chiesto:"Chi l'ha fatto questo?". "L'ho fatto io!", ho risposto timorosa. "Con che macchina?", ha replicato lei."Nessuna macchina, l'ho fatto a mano con i ferri". La donna ha sollevato le sopracciglia e ha arricciato la bocca. "Brava! Quando un campione si arriccia significa che le maglie sono lavorate in maniera perfetta. Questo effetto lo si ottiene solo con le macchine, brava davvero!".
A quel punto l'incredula ero io. Eppure, una volta a casa, mi sono accomodata nuovamente al mio tavolo e ho ricominciato a sferruzzare... E a pregare.