domenica 28 agosto 2011

Non omnis moriar

"Siamo davanti alla maestà della morte". Ho sentito mille volte il parroco del mio paese pronunciare queste parole, ma credo di non averle mai capite né accettate fino in fondo. La morte ha qualcosa di regale, maestoso, grandioso? Ci si inginocchia dinanzi ad essa come se ci si trovasse in presenza di un re, di un superiore? Mah. Forse lo si fa solo perché non la si può comprendere.
La morte, che è il contrario della vita, tocca a tutti indistintamente. Ma per alcuni giunge un po'troppo presto. E, dunque, anche se Don Rocco dice che è regale e maestosa, per me resta assolutamente ingiusta. Perciò, come tale, va combattuta e affrontata. Specie se porta via con sé persone giovani, ragazzi che hanno ancora tanto da dare. Persone belle. Uomini e donne che inondano l'universo di luce attraverso parole, pensieri e gesti. Troppe volte ho ascoltato quelle parole davanti a feretri bianchi. E se non le ho sentite in altre circostanze era solo perché eravamo in un'altra chiesa, in un'altro posto, in un'altra a casa. Ma il mio stato d'animo era lo stesso. Rabbia causata da una palese ingiustizia. Rabbia verso chi strappa i giovani figli alle proprie madri, le madri ai figli piccoli, i ragazzi agli amici, alla vita ai loro sogni.
Oggi non sarò tra i banchi in chiesa madre a Pignola. Oggi sono lontana. Ma è come se fossi lì a salutare un poeta, un intellettuale, un artista, il figlio della mia maestra. Un ragazzo, un giovane uomo, di cui siamo stati privati in breve tempo, troppo presto. Un lucano innamorato della sua terra, dei suoi boschi e della cultura. Uno scrittore geniale. A ricordarcelo restano le sue parole.
L'avevo ritrovato qualche anno fa su My space. La vetrina virtuale che usavo per lavoro, per scribacchiare, incontrare artisti, raccontare i miei sogni e sfogare la mia rabbia perenne. Anche Francesco, "il figlio del maestro", e della maestra, era lì. Ma non era più lo stesso. Era diverso. Aveva cambiato nome. Si chiamava Yzu Selly. Era semplicemente il suo nome d'arte. E, leggendo le sue poesie, vedendo su youtube le performance di questo altissimo munaciello mascherato, avevo decretato che gli calzava a pennello.
Lui accettò subito la mia amicizia. E insieme ricordammo un sorriso, unico, inimitabile, infinito, quello della sua adorata madre, la maestra. La donna che mi ha trasmesso l'amore per la letteratura e per la scrittura. Colei che è andata sempre fiera dei suoi alunni. E, come una mamma dolce e premurosa, come la Madonna che ci aveva insegnato a venerare, non li perdeva mai di vista. Mi era capitato, spesso, in classe, di sbagliare e di chiamarla "Mamma" e non "maestra". Non so come si senta una madre in questo istante, ma so che la maestra avrà accanto tutti ma proprio tutti noi. Quei figli che ha visto crescere tra i banchi.
Il mio pensiero, oggi, non può che andare a lei. A quella dolce signora bionda, sempre presente, accogliente e sorridente. Alla donna che gioiva nel vedere ancora insieme, dopo tanti anni, le sue alunne più care. Sempre amiche.
Da qualche tempo la luce sul suo volto era scomparsa. La mia maestra si era spenta. Ma penso che non abbia mai perso la speranza di avere ancora accanto suo figlio.
La vita però è breve e bastarda insieme. Non ti dà il tempo di capire che lascia il passo alla regina della fine. Eppure in questi anni mi sono convinta che nessuno muore mai del tutto. Tutte le persone che ci lasciano trovano il modo di rivivere. Continuano a permanere nella nostra esistenza sotto forma di altro. Un colore, un canto, un evento, una parola. Per Francesco, Yzu, è più semplice. Lui scriveva. Lui era un artigiano della parola. E la parola non muore mai.
Lo sapeva bene il poeta Orazio per il quale la poesia era un monumento più duraturo del bronzo, inossidabile, intramontabile, infinita.
Io ricorderò sempre Francesco attento ad ascoltare le storie delle brigantesse. Rileggerò i suoi versi nei quali avevo ritrovato Rocco Scotellaro e Cesare Pavese. Rivedrò il suo Crocco ogni qualvolta proverò a migliorare la mia brigantessa o sfoglierò le pagine che narrano le gesta degli eroi lucani, i briganti. Uomini che hanno lottato per la libertà. Uomini di grande dignità. Indomiti e ribelli. Autentici. Proprio come il nostro Yzu, un poeta anarchico e brigante.
Ciao Francesco. Buon viaggio e salutaci la Pignola celeste.

venerdì 19 agosto 2011

La teoria del TERMOSIFONE

Quando finisce una relazione di coppia, le parti interessate la vivono diversamente. C'è chi si rimette in piedi ben presto e ricomincia a vivere e a cercare l'amore, come se nulla fosse accaduto, o meglio, una volta che ha chiuso definitivamente una storia, è pronto ad affrontarne altre, ed è aperto alle novità, e chi invece continua a restare legato al passato. Se consideriamo una coppia eterosessuale, di solito, a quanto pare, in base alle opinioni e alle storie che ho ascoltato, nonché alle mie esperienze, ad uscirne meglio solitamente sono le donne. Sia che lasci o che venga lasciata, di solito, e sottolineo "di solito" (non è un teorema), la donna si adatta prima al cambiamento e cerca una soluzione al suo malessere. "Quando una faccenda è chiusa è chiusa", tuona impavida. Non resta che farsene una ragione e andare avanti.
Per i ragazzi, invece, è diverso sembra che quando vengano lasciati, o in ogni caso di fronte alla rottura di un rapporto, reagiscano male. A volte si illudono di aver superato la storia precedente e si rimettono in fretta "sul mercato", eppure non l'hanno superata affatto; perciò tendono a scansare ogni forma di legame duraturo. Per loro è più difficile dimenticare un amore? Perché?
Ce lo spiega la teoria del termosifone. Le donne hanno la tendenza a fantasticare, soprattutto nella fase dell'infatuazione, e non ci vuole poi molto per loro a passare all'innamoramento. Eccetto rare eccezioni, le ragazze partono subito. Passano dalla seconda alla quinta senza pensarci e si buttano a capofitto nella storia d'amore. Termosifone che si scalda in fretta. In poche ore il calorifero sarà bollente e la stanza verrà inondata di un vento dolce e soffocante.
Per i ragazzuoli, che fanno sempre un po'i duri, la pratica si allunga. A quanto pare, claro. Sembra, infatti, che i loro tempi siano dilatati. E in effetti sono più cauti nel "trasporto". Ci mettono un po'prima di carburare e di innamorarsi davvero. Ma quando sono cotti a puntino è la fine. Non si riprendono più. Occhio a cuoricino perenne, disponibilità assoluta, generosità e tenerezza infinite. Dei cuccioloni basculanti. Il termosifone in questo caso ci ha messo un bel po' prima di divenire incandescente. La vostra stanza, in alcune parti, risultava gelida. Ma poi pian pianino si è riscaldata del tutto. Una brezza calda e avvolgente ha scalzato il freddo resistente e recalcitrante e ha occupato tutto lo spazio a disposizione. Ogni barriera è caduta, e il gelo è stato definitivamente sconfitto.
Ergo, il calorifero che si riscalda prima, per la proprietà transitiva del riscaldamento e una legge fisica tutta mia, si raffredda prima. La ragazza, dunque, percepisce la fine della storia e si rassegna. Soffre un po'ma poi si rialza. Diceva la saggia Anna Magnani: "Quanno finisce, se piagne un po', ma poi passa" ...E infatti se passa, passa del tutto e si ricomincia.
Per il termosifone lento invece è diverso. Se si è scaldato piano, piano si raffredderà. Ci metterà un bel po'a dimenticare, a lasciarsi andare, ad accettare la nuova situazione. I ragazzi pare soffrano di più per amore. Dicunt.
La vostra stanza continuerà ad essere tiepida, se il vostro calorifero è lento. Il freddo ritornerà dopo un bel po'di tempo e in maniera assai drammatica. Il calorifero lumaca è abitudinario e non ama i cambiamenti negli affetti. Li vive male. Ma gioco forza è costretto ad accettarli, e questo, anche se recita la parte del bullo, proprio non gli va giù. Ma..."Senza te o con te la mia vita è difficile ma non è finita", cantava Annalisa Minetti a Sanremo tanti anni fa, e dunque anche per Romeo arriverà il tempo della rassegnazione a cui seguirà una nuova stagione dell'amore.

giovedì 11 agosto 2011

Il cliente ha sempre ragione 2: la macchia


Non si è al riparo dalla scortesia dei commessi persino fuori dai negozi. Spiaggia di Ostia. Esterno giorno. Vicky e la sua amica Martina prendono il sole. Martina è un po'preoccupata per motivi di lavoro e traffica continuamente col suo cellulare. Ma, tra una chiamata e l'altra, getta sguardi inequivocabili ad una bancarella di costumi da bagno che sosta da un po'sulla battigia a pochi metri dal "pannocchiaro", uno strano ambulante che arroste pannocchie in riva al mare. Una nube di fumo nero avvolge i bagnanti del lido di Ostia, Vicky e Marty riescono a ritagliarsi una piccola oasi odorosa e si affacciano ancora sull'invitante bancone. Martina si sofferma su un costume a fascia verde smeraldo. Lo indica a Vicky che annuisce. Il telefono squilla. Martina, ansiosa, risponde. E'in attesa di una telefonata importante. Ma, per paura che il bancarellaro fugga via con la sua preziosa merce, spedisce Vicky a contrattare. "Se te lo dà per meno di dieci euro bene...Che nun c'ho na lira!", si raccomanda Martina, prima di rispondere al cellulare.
Vicky si tura il naso, nata coraggiosamente nella nube tossica al sapore di mais e olio abbronzante fino a che, sudata e affumicata, giunge al cospetto del bancarellaro. Lui si confonde tra gli abiti variopinti. Vicky afferra il costume agognato dall'amica e insegue il bancarellaro intorno al suo carro. Riesce a scovarlo nell'angolo dei pareo fucsia e, sbandierando la merce desiderata, gli porge la fatidica domanda:"Scusa, quanto costa questo?". Il bancarellaro emerge da un cuscino di veli, strizza gli occhi ed esclama:"Costava 12 euro, ma te lo faccio 10". Certo ci sono i saldi, come no, afferma Vicky tra sé e sé. Martina intanto ciarla e segue con lo sguardo la trattativa tra lo Stato Romano e il Marocco.
A Vicky 10 euro sembrerebbe una cifra ragionevole se non fosse per un piccolo alone giallo che campeggia al centro del reggiseno verde smeraldo. "Sì, ma il costume è macchiato. Vedi?", fa notare Vicky al reggente dello stato estero. E lui:"No è macchia! E'acqua!". Il sole, però, asciuga l'acqua. E tra canicola agostana e vapore si sarebbe sciolto persino un cubetto di ghiaccio. "Dici?", replica l'ambasciatrice dello Stato Romano, e si volta verso il suo premier che continua la conference call.
Vicky mima il costo del costume a Martina. La ragazza scuote il capo. La trattativa riprende.
"Visto che è macchiato, lo puoi fare a meno. Che ne dici di 8 euro?", rilancia l'ambasciatrice dello Stato Romano. Ma il regnante abbronzato non molla. "No è macchia. 10 euro". Vicky si volta di nuovo verso Martina e fa spallucce. La sua amica chiude il telefono e parte alla carica. Si leva dall'asciugamano, la scuote, lasciandola in perfetto ordine sul bagnasciuga, e con passo felpata si dirige verso il testardo bancarellaro.
"Famme vede un po'", dice Martina a Vicky brandendo il costume. "Sì il pezzo di sopra va bene, ma la mutanda non mi piace"...Il bancarellaro ha sentito l'ultima affermazione di Martina. "Questa che dici? Ti piace? E'diversa", chiede il commerciante porgendo a Martina una variazione dello stesso costume da bagno. "Sì, allora facciamo. Il pezzo di sotto di questo e il pezzo di sopra di quello", conclude Martina prima di sparare il prezzo. "Siccome il costume, questo, è macchiato, ti do 8 euro". Ma l'ambulante non ci sta e sbraita:"No è macchia!! E'acqua!". E Martina:"Ma che acqua? Questo come minimo è olio!". Allora il bancarellaro le strappa dalle mani il costume e insiste. "E' acqua!", ribadisce e passa un dito sulla macchia. L'alone però non si muove. Sta fermo lì al centro del reggiseno a fascia, non si deforma né si allarga, è semplicemente indelebile. Vicky solleva le sopracciglia, Martina sbuffa. "Ancora insisti? Questa non è acqua è una macchia!", dice seccata la ragazza. E lui sempre più sgarbato, mulinando le braccia per aria, ribatte:"Acqua è acqua. Su questo costume non c'è macchia. 10 euro!". Martina imbufalita si porta le mani ai fianchi, arriccia il naso e si avvicina all'ambulante. "Allora sai che te dico? Che me stai antipatico! E siccome fai così, io il costume nun me lo compro!". Il bancarellaro prova a blaterare qualcosa ma è inutile: Martina e Vicky gli hanno dato le spalle. Sono state inghiottite dalla nube di Pannocchiabil e marciano come due soldati verso il loro fortino di spugna.
"Per essere così sgarbato, ha perso 10 euro!"; Martina primo premier donna di Ostia Beach.
"Eh sì eh..."; Vicky, ambasciator non porta pena.
Caro bancarellaro, anche tu, se non ci sai fare, cambia mestiere.

lunedì 8 agosto 2011

Il cliente ha sempre ragione

La regola d'oro del commercio, la prima che ti insegnano se devi vendere qualcosa, è questa: il cliente ha sempre ragione. Chi deve piazzare una merce sa bene che la gentilezza per un venditore, imbonitore, banditore, è quantomai necessaria. Non si è mai visto un commesso\a altezzoso, antipatico, scontroso o menefreghista. Eppure molti spesso peccano di superbia e il cliente se ne accorge eccome. Ci sono certe commesse particolarmente brave ad indisporre i clienti. Me n'è capitata una l'altro giorno davvero fastidiosa. Da premettere che lavora in un negozio fantastico. Uno dei quei posti davanti ai quali ti fermi a sognare. Lanci alle vetrine, allestite con gusto, sguardi voluttuosi. Poi abbassi gli occhi, sbirci i prezzi, e i desideri si infrangono sul saldo assai magro della tua Postepay. E ti rassegni. Non ti resta che attendere i saldi.
Da luglio in poi cartelli colorati con su scritto -50% ti invitano a varcare la soglia del Paradiso dell'abbigliamento. Appena puoi, hai tempo e denaro, fregandoti le mani, in punta di piedi, ti affacci nel tuo negozio preferito. Entri di soppiatto e ti lanci sugli abiti che da maggio avresti voluto avere indosso. Li sfili lentamente dalla stampella per misurali. Ma, quando stai per entrare in camerino, una figura snella e tesa, vestita all'ultima moda, ti si para dinanzi e, sgarbatamente, ti apostrofa:"Allora, i camerini sono tutti occupati; le maglie non si provano. E quell'abito credo sia grande per te!". Titolo del film: quando ad una commessa glie rode, se la prende con la prima cliente che gli capita a tiro. In questo caso io, che oltretutto ero l'unica acquirente solitaria. Le altre erano tutte accompagnate da madri o fidanzati seccati.
La commessa yougurtesca sembrava dedicarsi soprattutto ad una cliente, una bionda sciantosa e abbronzatissima col fidanzato-cane-che-scodinzola-dietro-un paio di tette- quarta misura al seguito. La Vamp in questione mi aveva battuta sul tempo; con la complicità del segugio innamorato aveva fatto sparire almeno due dei vestitini che mi facevano gola. E ora, mentre faceva il defilé davanti allo specchio, si lamentava col cagnolino dei suoi prossimi acquisti. "Continuiamo a comperare vestitini", diceva al fidanzato-cicisbeo, con l'aria di chi sa che magari non potrebbe permetterselo ma alla fine se ne frega e mette mano al portafogli quando vuole perché certo non muore di fame. Lui, facendo spallucce, non poteva che annuire e portare in cassa gli abiti scelti da madame, mentre la commessa rosicona si affannava a farle i complimenti per la sua mise.
"Quello azzurro ti sta davvero bene!", ripeteva la simpaticona snocciolando una serie di blandizie urticanti. Io, infastidita, attendevo il mio turno, davanti al camerino lasciato libero dalla Vamp, ancora ingombro delle sue buste, e pensavo a quanto avrei voluto provare quell'abito che il fidanzato-cane aveva appena imbustato.
La commessa certo non metteva fretta alla facoltosa cliente. Un'habitué, sicuramente. Ai nuovi arrivati, tanto più se sforniti di cani o altri accompagnatori, invece, riservava un trattamento di favore.
In ogni caso io non avevo bisogno di lei. So fare da sola. Valuto da me se una cosa mi sta bene oppure no, e se è il caso di spendere qualcosina in più. Certo un atteggiamento del genere da parte di chi vende mal dispone.
Avevo appena indossato il primo abitino a fiorellini, un po'etnico, ed ero uscita dal camerino. Mi stavo guardando allo specchio. Non sembravo molto convinta. Ed ecco che la campionessa di acidità mi si avvicina. "Beh, allora come va?", mi chiede cambiando tono. Si era addolcita. O meglio: il suo capo aveva smesso di cianciare al telefono con un tizio che era indeciso se lavorare in teatro o in radio e la stava osservando.
Io continuavo a non essere persuasa, non tanto dall'abito quanto dal prezzo, ancora troppo alto per uno straccetto del genere. E, considerato il trattamento ricevuto, alla fine ho deciso di desistere dall'acquisto.
"Prendo solo la maglia", ho detto all'amabile commessa, consegnandole gli abiti con le relative stampelle e lasciandola a bocca aperta.
Il cliente ha sempre ragione. E se tu commessa\o lo tratti male, gira i tacchi e se ne va senza comperare.

mercoledì 3 agosto 2011

La Madonna di San Pietroburgo

Sin dalla prima volta che mi si è materializzata dinanzi l'ho sempre considerata la Madonna del giornalismo. Lei, Concita De Gregorio, bionda, con la pelle leggermente ambrata, abbigliata da safari, ieri pomeriggio, se ne stava in prima fila al teatro valle ad ascoltare una lezione di drammaturgia di Fabrizio Gifuni. Io mi ero accucciata, come al solito, nelle retrovie. Conosco bene la platea del Teatro Valle, gioiello del 1700 in pieno centro a Roma. L'ho frequentata tante volte per lavoro e per diporto, da appassionata di teatro. Adoravo le introduzioni del direttore, squisito e gentile. Il pubblico del Valle è sempre stato curioso ed educato; persino durante gli spettacoli natalizi dedicati ai più piccini.
Il teatro si trova in via del Teatro Valle, dopo piazza Sant'Andrea Della Valle...Tutto qui parla di questo tempio della migliore cultura italiana, gestito dall'Eti (ente teatrale italiano, e chiuso in attesa della privatizzazione o (secondo alcuni) della trasformazione in un bistrot. Dire rivoltante è dire poco. Per fortuna, come nel caso dell'ex cinema Palazzo, la rivolta dei lavoratori dello spettacolo ha bloccato questo ennesimo scempio ed insulto alla cultura italiana da parte degli innominabili trogloditi. Attori, scrittori, sceneggiatori, studenti, e cittadini comuni si sono appropriati di questo spazio che è diventato un laboratorio permanente.
In due mesi circa di occupazione sul palco del Valle si sono alternati artisti, intellettuali, scrittori, giornalisti, attori, musicisti; ogni sera uno spettacolo, una discussione, una riflessione continua sullo stato della cultura e dei suoi operatori in questo paese. Se altrove la crisi non si sente, a Roma è tangibile in ogni dove, a cominciare proprio dal cuore pulsante di questa città, la cultura. Perché lo spettacolo non è fatto solo di lustrini e paillettes ma è fatto di uomini e donne che scrivono, recitano, muovo fili, cavi, cuciono e consentono all'intera macchina di muoversi e prendere vita per deliziare gli spettatori. A causa delle politiche errate di questo strampalato paese ciò potrebbe non accadere più perché il lavoro è tale se viene retribuito, altrimenti si chiama volontariato. Ma, tornando al Valle, a Gifuni, dicevo... Ieri, mentre il sole batteva sugli ombrellini dei turisti giapponesi a Corso Vittorio, all'interno del Valle Gifuni spiegava come è riuscito a dare anima e corpo alle parole di un genio della letteratura italia, Gadda. Sì insomma, l'autore de "L'ingegner Gadda va alla guerra" ha illustrato ad una nutrita platea come nasce uno spettacolo di teatro di narrazione, la forma teatrale che personalmente prediligo. Tutta la lezione è stata condotta attraverso i testi, da "Diario di Guerra e di Prigionia"- uno dei primi scritti di Gadda, in cui, ha sottolineato Gifuni, si coglie "il genio dello scrittore", perché è lì che Gadda sperimenta la sua lingua, diciamo la crea per poi perfezionarla negli scritti successivi- sino a "Quer pasticciaccio brutto di Via Merulana" e la "Cognizione del dolore" passando per "Eros e Priapo" e altri racconti.
Ascoltavo estasiata e rapita dalla voce suadente di Gifuni e pensavo a quanto lavoro c'è dietro ad uno spettacolo teatrale, ancor prima che venga messo in scena. Quanto ci vuole per scrivere un testo da recitare. Il lavoro di Gifuni è stato lungo; l'autore ha lavorato su se stesso e sull'autore alla ricerca di una chiave di lettura giusta, e l'ha trovata nella ferita mortale da cui è nata la scrittura di Gadda. Ma lavorare sui testi l'ha portato a confrontarsi con sé stesso, con la sua formazione e con la critica letteraria. E la passione che mette nel suo lavoro traspare dal modo in cui ne parla.
Ho incontrato spesso Gifuni con la moglie (credo) Sonia Bergamaschi al Valle e al Vascello. Il teatro per gli attori è vita e la loro ricerca è continua. Quando in Rai andava in onda, ad un orario decente, Cominciamo Bene Prima, chiunque avrebbe potuto essere erudito sui talenti del nostro teatro e sul loro modus operandi, ma ormai anche quella trasmissione è stata cancellata dal palinsesto di Rai 3. Peccato.
Avevo davanti a me uno dei migliori attori italiani, compagno di accademia di Luigi Lo Cascio e Alessio Boni, le rivelazioni della Meglio Gioventù. I mie pensieri erano apparentemente monopolizzati da Gadda, Paasolini e l'amore per il teatro. Ma, di tanto in tanto, gettavo uno sguardo su Concita, sempre in prima fila, silente ed attenta dietro le sue lenti scure.
L'ex direttora dell'Unità, giornalista della Repubblica, mi apparve per la prima volta nell'ascensore di Repubblica. Io ero lì perché dovevo incontrare il mio prof. Mi ero introdotta nel palazzo di vetro sulla Cristoforo Colombo come un topolino, convinta, quasi fosse una premonizione, che non sarei mai arrivata a lavorare in una di quelle magnifiche redazioni. Mi sentivo più piccola del solito, annichilita dalla fama del quotidiano di Scalfari e company, il giornale che ha sempre letto mio padre, il giornale che insieme con l'Espresso tengo appeso alle parenti della mia camera. Pensavo:"Che sfigata". E da Cenerentola mi sono tramutata in Ugly Betty quando la Madonna dei Comunisti mi si è parata dinanzi. Abitino corto anni 60' bianco e nero, scarpe alte, capelli biondi raccolti e trucco perfetto. Tornava in redazione alle quattro del pomeriggio e mandava sms dal suo cellulare. Io mi sono rincattucciata in un angolo dell'ascensore per paura di sgualcire con la mia presenza l'immagine della perfezione giornalistica e ho dimenticato di scegliere un piano. Ma la Madonna mi è venuta in soccorso; levando un sopracciglio e aggrottando la fronte, come se si fosse imbattuta in un'aliena, ha pigiato un pulsante rosso anche per me e l'ascensore si è mosso, ma ci ha abbandonate su piani diversi.
Dopo quell'episodio mi è capitato di vederla sbucare dalla folla, durante qualche manifestazione, preceduta da un fascio di luce bianca. Non era mai in disordine. Mai un capello fuori posto. Sempre perfetta nel suo stile radical chic. Madre di 4 figli, giornalista, scrittrice, direttora dell'Unità. Che dire? Un mito. Come fai a non sentirti una caricatura di una scribacchina davanti a cotanta maestà? E'inumano. "Adesso anche lei però è senza lavoro",
mi dicevo, cretinamente, ieri. E, ancora più stupidamente, mi domandavo: "dopo due anni circa da direttore, ora cosa farà? Tornerà a scrivere a Repubblica, su D, scriverà un altro libro?" Leggevo in un suo editoriale che era stata in Spagna, a parlare con gli indignados. Beh, certo la Conci non ha problemi di soldi, prende e parte, fa ciò che vuole. Se decide di fare un servizio giornalistico, è sempre la De Gregorio, l'accolgono col tappeto rosso. E'la Madonna di San Pietroburgo.
Un'altra sfigata al posto mio magari sarebbe stata invidiosa, gelosa, l'avrebbe biasimata, invece io seguitavo e seguiterò comunque ad ammirarla. Anche se non ha mai risposto alla mie mail. Anche se mi guarderà sempre con aria di sufficienza.
Magari se fossi stata una Veltroni's girl mi avrebbe considerata, o magari se le avessi proposto un servizio. Mah, e chi lo sa. Mi sarebbe piaciuto avvicinarla, ma cosa avrei potuto dirle? Cosa importa alla De Gregorio di una come me? Comunque vada lei non sarà mai precaria, collaboratrice, e decisa a mandare tutto a gambe all'aria per un lavoro normale che ti faccia mangiare senza troppe tribolazioni e paranoie esistenziali. Certe volte vorrei proprio essere sfacciata. E in questi giorni, in queste ore, in cui mi interrogo sul mio futuro, la Madonna Radical mi sembrava un faro nella notte. Eppure, spulciando su internet, scopro che anche il comunismo e l'altruismo della mia Maria è solo sulla carta. Anche lei si comporta, a quanto ne scrivono, come i peggiori rappresentati delle caste, anzi come diceva il mio prof di giornalismo economico, riferendosi ad alcuni colleghi lobbisti, delle sette.
A quanto pare, leggendo ciò che effettivamente la Madonna ha fatto per i precari dell'Unità, anche lei ha predicato bene e razzolato male.
Ecco qua:http://valeriacalicchio.blogspot.com/2011/06/se-la-direttora-va-via.html
L'autrice del post è un ex stagista dell'Unità, se vi prenderete la briga di leggere i commenti sottostanti, scoprirete lo stato del giornalismo italiano, delle redazioni in genere; molti "collaboratori" per mangiare lavorano come camerieri. E poi, quando fai questo mestiere, devi anche tollerare una pletora di invidiosi, rancorosi, livorosi, matte-matti, pettegoli e non saprei più come altro definirli...E c'è chi parla di caste...Ma va...Detto questo, concludo: preferisco la mia umanità alla santità di certi personaggi; a raccogliere ovazioni speculando sulla pelle dei giovani e malpagati collaboratori siamo bravi tutti. Ave Maria.

martedì 2 agosto 2011

Gialla come er sole, rossa come er core mio

Quando la città si svuota, arrivo io. Potrebbe apparire paradossale e assai singolare ma ho scelto di trascorrere la prima settimana di agosto in città, nella mia città, Roma. Mi considero una romana di adozione. Qualche anno fa avevo preso anche la residenza, mi sembrava avesse più senso, oltre ad una questione di carattere pratico. I residenti godono di privilegi e vantaggi che ai fuori sede sono negati. E in ogni caso la mia anima appartiene a questa città. E'grande, i suoi spazi sono infiniti(ammetto che questa è un'idea molto platonica, però la penso così) e accoglie tutti. Roma è una livella: siamo tutti uguali davanti alla Storia.
Da matricola, studentessa in Filosofia, ero affascinata dall'altare della Patria. Pregna di letture hegeliane, mi incantavo a guardare il monumento più inviso ai romani, che lo definiscono "la macchina da scrivere".
L'altare, dedicato a Vittorio Emanuele II, celebra Roma capitale d'Italia. Il progetto originario risale agli anni 80'dell'800 ma l'intero complesso monumentale in stile neoclassico, inaugurato nel 1911, venne poi completato da Mussolini. Tuttavia questo blocco di marmo bianco, che a molti potrebbe apparire esagerato, pretenzioso ed eccessivo, ha una sua particolarità visibile a pochi. Al di là delle mostre permanenti al suo interno, del cambio della guardia, del panorama, la fredda macchina da scrivere è vigilata da un esercito permanente di volatili.
I gabbiani, abitanti dei posti di mare, roteano di continuo sull'altare. Persino a notte fonda, quando i turisti schiamazzano per le vie dl centro, piazza Venezia è pressoché deserta, le guardie in piedi accanto al monumento al milite ignoto faticano a tenere gli occhi aperti, e un autobus giallorosso raccatta i viandanti della notte, i volatili bianchi seguitano a volteggiare in aria, in alto, in cima al monumento, imponente, severo ma..."De core" come qualunque cosa in questa città.
L'altra sera all'uscita della metro a Tiburtina una ragazza allegra e procace mi ha chiesto un'informazione. Non so se la mia faccia che dice:"Le so tutte!" ma da sempre la gente, qui, in ogni dove, mi domanda qualcosa. Comunque questa ilare fanciulla, in abbigliamento da spiaggia, nell'atrio della metro, mi ha chiesto dove fosse l'uscita e se si trovasse davvero a Tiburtina. Io le ho risposto cordialmente. Ma l'ho vista un po'disorientata, benché sorridente, e l'ho accompagnata all'uscita. Nel frattempo abbiamo fatto amicizia. Era brasiliana. Come avevo intuito dalla sua mise (gonna corta di cotone grigia, maglia con scollo a barca dal quale si intravedeva un costume da bagno rosso) veniva dalla spiaggia di Ostia, e stava tornando a casa dell'amica dalla quale alloggiava. Ed era entusiasta di Roma. "Somiglia al Brasile", mi ha detto. "E'città calda e colorata, e anche la gente è brava". Credo volesse dire è accogliente, disponibile...Le ho indicato l'autobus da prendere, la pensilina, e l'ho salutata, rispondendo al suo sorriso smagliante e spontaneo con un "buona permanenza" da guida turistica e angelo custode insieme. Camminando verso casa, però, con le spalle rivolte alla nuova stazione Tiburtina, che qualche giorno fa è andata in fiamme, continuavo a pensare alla simpatica brasiliana e alle sue parole. La turista latinoamericana era a Roma da qualche giorno, eppure aveva già colto lo spirito della città eterna.
Quante volte per strada mi è capito di incontrare persone che, senza chiedermi nulla, si offrivano di darmi una mano, quando trascinavo valige pensanti, tra un trasloco e un altro, di ritorno da uno dei viaggi della speranza; quanta gente negli anni voleva aiutarmi a sollevare le buste della spesa, spesso troppo cariche per una ragazza esile come me (anche se forte); quanti esseri umani di ogni genere, razza, colore, provenienza ho conosciuto per strada, in metro, in posta, all'università, a lavoro perché ho aiutato e sono stata aiutata, senza timore, paura o diffidenza; quante persone ho accompagnato anche se per poco, quanti mi hanno sorriso persino nei giorni bui...Quanti cuori veri battono in uno spazio illimitato? Tanti. E Mamma Roma vole bene proprio a tutti.