sabato 30 luglio 2011

Come si cambia

Non è bello accorgersi di essere cambiati e in peggio. Non è bello tirarsi fuori dai guai e dalle situazioni quando ci si accorge di essere andati troppo oltre. Non è simpatico non sentirsi compresi, mai. Questo è quanto mi sta accadendo. La mia guardia ormai non è alta, è altissima. Due anni in trincea mi hanno incattivito. Non faccio altro che difendermi per evitare di ricadere nelle stesse trame e nelle stesse dinamiche. L'errore più grande in questi casi è buttarsi a capofitto nei rapporti umani, quando non si è in grado di affrontarli. E questa è la mia situazione. In questo momento non posso assolutamente intraprendere amicizie strette e troppo profonde perché non mi fido di nessuno. Tanto più delle donne e che magari simpatizzino per amici o colleghi. Ho troppa paura di trovarmi nelle stesse situazioni, ho troppa poca stima di me e del mio modo di agire- che credo sia errato- per affrontare queste faccende. E preferisco starne fuori. Non ho voglia di impegnarmi in questo. Bisogna capire dove si è sbagliato per non sbagliare ancora ma è troppo presto per farlo. Prima ci si deve ripulire e poi si può ripartire.
Io voglio ritrovare la fiducia negli altri che ho perso. Voglio tornare a vivere a pieno. Voglio liberarmi dai legacci di ogni tipo e costruire la mia indipendenza ad ogni costo. Ho detto troppe volte "non mi fido". Infatti non mi fido. Ora capisco tanti discorsi e tante persone.
Una volta poste le basi della vita che consistono prima di tutto nel lavoro, poi si può ricostruire il resto del castello.
I miei castelli sono caduti spesso. Avevo un mondo in cui stavo bene e ho percepito anzitempo che prima o poi sarebbe venuto meno, che le cose sarebbero cambiate. A volte vorrei essere meno sensibile, me la passerei meglio. Ma sono autistica, e dunque eccoci qua. Adesso c'è un altro momento di svolta. Ho bisogno di cambiare, di essere ciò che sono davvero e da sola, indipendentemente da.
Voglio mettermi di nuovo alla prova, come ho fatto tante volte, abbandonando quelle poche certezze che ho e spiccando il volo. Solo uscendo da strani loop potrò recuperare la fiducia nella vita, negli umani e in me stessa. La decostruzione serve a ricostruire, chissà che questa non sia la volta buona. Chissà che il perdersi non serva a ritrovarsi e che questo cambiamento in peggio non porti al meglio. Per ora penso alla fede, poi al resto. Intanto stilo la mia lista di "mai più" e del " si fa", "non si fa", e mi rieduco a "tacere". Cambia todo cambia.

lunedì 25 luglio 2011

Nessuno è come Saviano

"Ormai donna, sciupai i primi anni della giovinezza paragonando gli uomini che via via conoscevo ai miei eroi: rifiutandoli perché non somigliavano affatto ai miei eroi" (Se il sole muore, Oriana Fallaci). Oriana Fallaci, la più grande giornalista italiana, passionale e coraggiosa, profonda e creativa, tranchant in ogni sua manifestazione, non poteva certo accontentarsi di un codardo da quattro soldi. Nel 1965 segue gli astronauti americani che si preparano a sbarcare sulla Luna e ne viene fuori un romanzo autobiografico, un lungo reportage sugli esploratori dello spazio. Ma la sua permanenza tra gli astronauti, dipinti come gli eroi del nuovo mondo, è anche un momento di riflessione sulla sua vita. Il romanzo della Fallaci, infatti, è una lunga epistola inviata a suo padre, il quale guarda con scetticismo all'uomo sulla Luna. Oriana, che a 14 anni ha conosciuto i protagonisti della Resistenza e li ha amati e ricercati per tutta la vita, non disdegna gli eroi degli anni '60. Ma continua a vagheggiare e a ricercare i suoi idoli. Uomini guerrieri che sembravo usciti dalle pagine dei grandi romanzi d'avventura. Uomini ai quali l'uomo dei suoi sogni, l'amore della sua vita, non poteva non assomigliare. L'immagine del suo uomo ideale tagliata sull'eroe della resistenza ha condizionato le sue scelte successive, non a caso, l'amore della sua vita è stato un eroe, Alekos Panegulis, al quale ha dedicato uno dei libri più belli che siano mai stati scritti, Un uomo. Ma quante Oriane ci sono in giro? A quante donne, come Oriana, è capitato di scartare esseri umani di genere maschile perché non corrispondevano al loro ideale? E soprattutto: da dove vengono e quanto contano i modelli nella scelta del compagno, degli amici e degli esseri con i quali condividere la propria esistenza?
L'uomo medio è pusillanime. Tradotto: codardo: vile. Gergale: senza palle. E dimostra la sua inettitudine dall'amicizia all'amore. Uomini che non sono uomini. Uomini che ti usano, ti sfruttano e poi ti buttano via. Uomini a cui servi per colmare un vuoto in un momento e appena possono, se è necessario, ti coprono di fango, in modo da accreditarsi presso altri o altre, dileggiando te. Non uomini ma mezzi uomini, direbbe Sciascia, quaquaraquà. Troppi ce ne sono in giro. E sicuramente i nostri modelli di partenza dipendono dalle nostre esperienze, dai libri che abbiamo letto, dai film che abbiamo visto e dall'idea che ci siamo fatte di noi stesse e del mondo. La madame Bovary che è in noi prima o poi viene fuori, ma in senso positivo. Anche perché, mi chiedo, che vita è se non riesci a stimare l'uomo che ti sta accanto? Che razza di amore è l'amore senza stima, passione e adorazione?
Se una piccola Oriana si accompagna ad un mezzo uomo e si accontenta, perdonando le sue debolezze, fino a che si è infatuati andrà bene, ma poi? Scoppierà, è chiaro.
La donna che non teme nessuno, la donna che si espone, desidera un uomo che le somigli. L'amica che non si risparmia, l'amica che se ne frega, l'amica che è com'è, desidera un amico o un' amica che le assomigli, che la difenda quando ci sia da difenderla e che la sgridi a brutto muso quando ha sbagliato, perché lo fa per il suo bene. Non è un caso che leggendo libri, vedendo soap opera e sceneggiati in tv, guardando film e spettacoli teatrali, le squinternate solidarizzino con i coraggiosi.
Io sono stata sempre impopolare nei gusti. Ai tempi di Beverly Hills il mio uomo ideale era Brandon Walsh, giornalista, studente modello, concreto, duro e razionale. Senza fronzoli. A 13 anni e ancora oggi sarei fuggita volentieri con Luciano Ligabue, e avrei vissuto per sempre sull'isola della Tortuga con Johnny Deep. Lui andava bene anche in California, nei panni di Boston George, folle e maledetto al tempo stesso. Ma Johnny va bene sempre perché la sua follia delirante, il suo estro hanno un fascino inesauribile.
Tra i personaggi delle soap italiane quello che prediligo è Michele Saviani di Un Posto al sole. Genere: giornalista impegnato, uomo anticamorra. Onesto, pulito, semplice e determinato. E di sicuro anche un magistrato sprezzante delle forme, uno che è e non appare, e ha il culto della legge prima di ogni cosa, mi disarmerebbe subito. Questi sono uomini pregiati perché sono rari. Sono persone affidabili che danno sicurezza e non temono di esporsi, mai. Non fanno i piacioni, non ci provano con una donna solo perché è donna né hanno atteggiamenti volutamente ambigui. E se scelgono una persona sono convinti, è quella e non un'altra. Non tentennano né si pavoneggiano o sfarfallano. Sono puliti in ogni loro espressione perché sanno cosa voglio sempre e comunque. Integrità morale è la loro parola d'ordine. Insomma i tipi alla Saviano che pur di far valere la giustizia e la verità metto a repentaglio la propria vita e la propria sicurezza. Uomini che agiscono mossi dalla passione per ciò che fanno. Questa si chiama generosità. Questo è eroismo. Questa è autenticità. E'la vita vera che pulsa nel cuore degli uomini e delle donne e tracima come un fiume in piena. Straborda. Esce dagli argini. E'irrefrenabile, incontenibile, non ha limiti ed emerge, sempre e comunque. La verità non la puoi occultare per sempre. Ma mi chiedo: quanti Roberto Saviano, Peppino Impastato,Giancarlo Siani, per ritornare alla soap Luca Manara, ci sono in giro? Esistono?
Io sono fiduciosa e penso di sì, e se finora non ne ho incontrato nemmeno uno, o forse qualcuno c'era ma per vari motivi era inavvicinabile, spero davvero di incontrarlo in futuro in luoghi magari aperti dove ciascuno si può esprimere liberamente. Persone così ti cambiano la vita. Perché sono in grado di nutrire nei confronti degli altri sentimenti sinceri di amicizia e di amore, e soprattutto, come direbbero i criminali, non sono "infami", non ti pugnalano alle spalle né ti fanno trovare nei guai per favorire loro stessi o i loro padrini, mossi da invidie meschine e risentimenti spiccioli. Ad maiora semper. Anche la squinternata si innamorerà, chissà.

domenica 24 luglio 2011

Tranquilla, ti ho appena sputtanata

Nella Repubblica dei Normali è invalsa l'abitudine al protocollo, altrimenti detta "forma". Le formalità sono presenti in ogni dove. Ci sono persone formali ed ipocrite per natura e altre che si attengono al decalogo della borghesia. Per capire di cosa sto discettando oggi, partiamo dalle parole. I giochi linguistici sono fondamentali nella Repubblica dei Normali.
Un termine chiave è "tranquilla". Quando ti dicono, o peggio scrivono, "tranquilla", non c'è da stare tranquilli affatto. E'una formula elegante per nascondere la realtà: sono delusi da te,non voglio ricevere alcuna spiegazione perché si sono già fatti un'idea di come agisci, e non c'è nulla da fare.
I loro metodi investigativi sono infallibili. Nemmeno Montalbano potrebbe mettere bocca sull'esito delle loro indagini. Conoscono a tal punto la vita da poter giungere in breve tempo ad una conclusione. Si tuffano come Paperon de Paperoni nei loro database dei tipi umani, trovano un'etichetta adatta a te e te la cuciono addosso. Tu sei così e non può essere altrimenti perché l' hanno deciso loro; hai agito in questo modo per un determinato motivo, che loro conoscono e tu no, e non c'è possibilità di recuperare. Qualunque tentativo di difesa da parte tua sarebbe inutile. L'impianto accusatorio del pm ai loro occhi non fa una piega, i legali si astengono dalla difesa, l'imputato, cioè tu, caro sfigato, non godi di alcun diritto, e il tribunale emette la sentenza in un baleno. Condanna definitiva in primo grado senza appello ma... Tranquilla, non è successo niente.
Ti ho appena piantato un coltello nella schiena, ho rovinato mesi di fatiche, fatto crollare castelli di fiducia e impalcature di confidenze, abbracci e sorrisi, ma... Tranquilla, è tutto a posto.
Ho parlato male di te al mondo, ti ho fatto fare figuracce preventive, ti ho tolto il saluto, cancellato da fb, cancellato dalla mia vita, ma...Tranquilla, nessun problema.
Quando ti avvicini a me, mi allontano. Non posso farmi vedere con te, se ti incontro in pubblico ti ignoro, ma...Tranquilla, che cara che sei!
Ho covato rancori, invidie e gelosie nei tuoi confronti, ho filmeggiato per mesi sulle tue azioni, ti ho vivisezionato, analizzato e ingiuriato in più occasioni, sempre alle spalle, ma...Tranquilla, amici come prima.
La forma, l'apparenza, è salva. Formalmente nessuno ha litigato con nessuno. Eppure di sangue e, soprattutto, di fango ne è stato sparso parecchio. Fiumi di mota sono stati riversati su di te. E, prima che qualcuno si ricreda, passerà del tempo. Intanto la tua immagine agli occhi dell'altro è ormai compromessa e se questo qualcuno ha la tendenza a fare chiacchiere con molte persone, nei posti angusti, anche la tua reputazione è andata. Basta in ogni caso che la persona in questione parli con quelli del suo clan, col suo gruppo, che già verrai guardata male. E quel "tranquilla", lemma quanto mai ipocrita, ne è la testimonianza. Non mi espongo né per difenderti né tanto meno per confrontarmi con te perché le liti sono "incivili", "volgari", troppo proletarie; metto a tacere ogni cosa con una formula ipocrita e nel frattempo preparo la mia vendetta che non si consumerà mai apertamente.
Frecciatine, cattiverie e meschinità disseminate qua e là nel corso del tempo, nei momenti meno opportuni, ti faranno capire come e dove hai sbagliato (sempre che le sortite di cattivo gusto siano chiare e non ambigue). Solo allora comprenderai che sei stato bollato, etichettato, taggato, per dirla alla facebook, ma nessuno- forse uno ci ha provato, vai a capire- ti ha chiesto una spiegazione del tuo gesto. Al primo errore ti hanno isolato.
E'comodo farsi guidare dal pregiudizio. E'comodo leggere le persone come ci pare. E'comodo far indossare loro abiti che non gli appartengono. E'meglio per tutti. C'è un manuale del comportamento, fatto di regole non scritte ma ben precise, che viene adoperato sovente in certe società, e il principio cardine di esso è: non dire, non farsi capire, nascondersi. Per non diventare vulnerabili e per non essere attaccati, affinché la propria vita non venga strumentalizzata e non si diventi oggetto di chiacchiericcio, in poche parole "un caso" da trattare in cene, riunioni ufficiali ed altro, è bene recitare. Fingere. Gabriele Lavia sostiene che il teatro è vita ma per molti la vita deve essere un palcoscenico sul quale portare in scena il proprio personaggio costruito ad arte. Infatti spesso capita di sentir dire "il suo personaggio è così" o di essere trattati- soprattutto se si fa un determinato lavoro- non come una persona ma come un brand. Come se non si avesse una vita, come se non fossimo una "psyche" ma solo un "soma" griffato. Questo è detestabile e fa scattare un meccanismo di autodifesa abbastanza ovvio. Ci si mostra per come si è ad una piccola cerchia di eletti, non ipocriti, formali, invidiosi e altro, e col resto del mondo si recita a soggetto.
Le squinternate come me non amano la forma. Certo in alcuni ambienti è necessaria, si sa, soprattutto sul lavoro. Formalità assoluta. Ma nella vita reale la squinternata non sarà mai formale. Perché il disordine è spontaneo e sincero, non è costruito, e come tale, non può convivere con l'ipocrisia dilagante. Ci confineranno su Marte.
C'erano tempi in cui la diversità era bellezza...Dice la Cantantessa...

sabato 23 luglio 2011

Empatie

La nostra vita, per quanto strampalata possa essere, è fatta prevalentemente di incontri o occasioni. Ogni essere umano in cui ci imbattiamo è sicuramente una fonte inesauribile di ricchezza. Ogni persona con la quale entriamo in relazione ci permette di comprendere qualcosa in più di noi stessi e del mondo che ci circonda. Ma soprattutto ci racconta una storia, ci lascia un ricordo, una sensazione da conservare. Se un incontro, seppure breve, non ci ha lasciato alcunché, significa che abbiamo perso tempo. Dunque, è un bene che l'essere in questione sia uscito dalla nostra vita. Anche se ci sono persone che entrano ed escono dalle vite degli altri. Magari incontri fatti in momenti sbagliati. Persone che poi, per qualche strano motivo, ritrovi sulla tua strada e ti appaiono cambiate, diverse. A volte l'errore sta nel nostro sguardo, molto spesso appannato.
Ieri sera un'amica mi faceva notare che il nostro modo di relazionarci agli altri varia da persona a persona. Con qualcuno siamo in un modo, con altri in un altro. Questo sicuramente è vero. Non siamo sempre uguali. L'esistenza, le sensazioni, le esperienze, ci rendono diversi. E il destino di una relazione dipende molto dal momento della vita in cui ci troviamo, da come stiamo quando conosciamo qualcuno e, forse, anche dall'apertura mentale dell'essere che abbiamo di fronte. Ecco, siamo arrivati al nocciolo della questione: quanto il destino di una relazione dipende dal nostro essere e quanto dall'essere dell'altro?
Non potrebbe essere che, il nostro istinto, la nostra sensibilità, ci mettano in guardia, ci facciano da campanello d'allarme? Nel senso che l'istinto riesce a percepire che c'è qualcosa che non va. La persona che ci sta dinanzi ci trasmette delle sensazioni, negative o positive che siano, in base alle quali siamo indotti a relazionarci in un modo piuttosto che in un altro e a mostrare alcuni lati del nostro carattere e ad occultarne altri.
C'è chi, a primo acchito, ci indispone, chi invece ci mette a nostro agio e ci fa sentire subito a casa, chi ci trae in inganno perché pensiamo sia in un modo invece poi si rivela in un altro (anche l'istinto prende cantonate!), chi ci prende di testa e ci stimola a fare meglio e diventa un'amicizia positiva, creativa, interessante...Ma, mi chiedo: è solo una nostra disposizione d'animo o dipende anche dalla persona che abbiamo di fronte? Quanto conta, nel modo che noi abbiamo di entrare in relazione con un'altro essere umano, l'energia trasmessa dall'altro?