martedì 11 settembre 2012

La tovaglia dell'Iperfutura

Mi chiamo Roberta ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese. Mi chiamo Vittoria, di anni ne ho 30 e, da qualche mese, non guadagno nulla. La prima affermazione non è una mia simpatica invenzione, bensì il titolo di un saggio-inchiesta sul precariato di Aldo Nove. La seconda è il mio "status upgrade". Le storie contenute nel testo di Nove mi avevano traumatizzata. E non facevo che ripetere a me stessa: no per me non sarà così, io ce la farò, io ci riuscirò. Ma a 30 anni, disperata e disoccupata, mi sono ritrovata a varcare nuovamente la soglia dell'università, con attacchi di panico e incubi ricorrenti, per capire quanti punti delle merendine manchino nel mio piano di studi per accedere all'insegnamento. Pensavo che l'epoca della raccolta punti fosse finita. Invece sembra che sia difficile liberarsene. E soprattutto, adesso mi accorgo che, anche per me, è impossibile non terrorizzare le nuove generazioni. Senza ricorrere a Roberta. La mia storia è sufficiente a mettere in guardia qualunque sognatore incallito o quasi. Mentre mi dirigevo verso la segreteria studenti in un ateneo che non è il mio, che non ho scelto io, e anche se piccolo, non padroneggio bene, avvezza come sono ai luoghi enormi, mi sono imbattuta in una mia vecchia conoscenza. Una ragazza che ho visto crescere. La mia amica era disorientata, si guardava intorno quasi terrorizzata perché faticava a capire da quale meandro della Micronesia fosse stata inghiottita una sua coetanea nel disperato tentativo di iscriversi all'università. L'iscrizione risulta assai faticosa, mi hanno spiegato, soprattutto perché nessuno è in grado di fornire informazioni chiare, in Micronesia, o perlomeno, ci sono molti impiegati nati stanchi che si divertono a complicare l'esistenza delle matricole. E anche la mia. Malcapitati unitevi. Io e C. ci siamo incamminate verso la segreteria, luogo da me indicato come probabile nascondiglio della desaparecida oltreché la mia meta, e lungo la strada la fanciulla, che pensava di essere stata fortunata ad incontrarmi, mi ha illustrato i suoi progetti per il futuro. Sapevo già che ha intenzione di trascorrere un anno all'estero prima di iscriversi ad un esamificio qualunque. Per questo l'ammiro molto. Ma ignoravo del tutto la sua facoltà preferita così come lei era all'oscuro del funzionamento dell'università. "Come funziona quindi?", mi ha chiesto ingenuamente. "Come se dovessi prendere una tovaglia omaggio all'Iperfutura. Quando hai raggiunto 180 punti, la laurea è tua. Ad ogni esame corrispondono dei punti, se superi l'esame sono tuoi, fino a che non arrivi a totatilizzarne 180, considerando anche la tesi e il tirocinio. Questo per la triennale. Per la tovaglia specialistica poi sono sufficienti 120 punti". C. ha sgranato gli occhioni neri sottolineati di verde e ha esclamato: "Ma davvero?". "Sì". Lei vorrebbe studiare antropologia culturale, mi ha detto. "Disoccupazione assicurata", ho commentato, caustica. Ma non si possono stroncare i sogni degli altri, anche C. ha diritto di sperare( come è accaduto a me dinanzi alle verità messe nero su bianco da Aldo Nove) che per lei non sarà così, che ce la farà, tanto più che LEI appartiene ad un'altra generazione ed è disposta a spostarsi e ad apprendere al meglio una lingua straniera. Meglio aggiustare il tiro quindi. "E'giusto che tu faccia quello che ti piace, che ti interessa, perché lo studio è comunque sacrificante e i sacrifici li fai solo per ciò in cui credi. E poi hai l'opportunità di imparare bene le lingue e di viaggiare, sfruttala al meglio!". Soprattutto per non tornare in Micronesia o nell'Italia disorganizzata dove capita ancora che le segreterie studenti chiudano le porte perché qualcuno si adira, e ti forniscano i numeri degli uffici sbagliati. La ragazza però ha le idee chiare. Prima di entrare nel mondo del lavoro, ha già compreso ciò che noi trentenni abbiamo scoperto solo all'ottavo stage. "Tanto qualsiasi cosa fai, oggi il lavoro te lo devi inventare". Giusto. Perciò meglio seguire i propri interessi e provare a costurire da sè la propria felicità. In bocca a lupo C. Lei si allontana ancora un po'frastornata e confusa, e io mi domando quanto mi costerà la nuova raccolta punti e se questa tovaglia dell'Iperfutura verrà riposta come le altre nel cassetto vitae (e nascosta all'occorezza nell'armadietto dei titoli occulti in presenza di un Himler HR che epura i "troppo qualificati") oppure se servirà a qualcosa, se in questo paese lo studio tornerà ad esssere apprezzato e remunerato degnamente. Ho i miei dubbi. This is the question.

domenica 9 settembre 2012

Il programma della giornata

Non avevo mai avuto bisogno di scrivere le cose da fare durante la giornata, sì insomma di programmare in qualche modo il mio tempo. Mi veniva abbastanza naturale. Ora, invece, è diventato quasi necessario prendere carta e penna e annotare il da farsi, altrimenti mi disperdo in attività inutili. Campionessa in arrampicata sugli specchi, scalata di monti impossibili che crollano al mio passaggio, e archiettetto di labirinti dai quali neanche io so uscire. Eccomi. Presente. Potrei inserire queste nuove qualifiche nel mio cv, chissà che a qualcuno non interessino. No, è meglio di no, va a finire che anche questa volta risulto essere troppo qualificata per il lavoro che non c'è e il generoso donatore di lavoro non mi concede neanche un misero colloquio. Tornando a noi, ho sempre preso in giro le compilatrici di liste. Le persone così ordinate, o meglio diligenti, da pretendere di mettere ordine persino nelle loro esistenze. Non che le mie varie vite, dico quelle precedenti a questa, siano state particolarmente incasinate, sì in una in particolare facevo molte cose, ma riuscivo a conciliare tutto (casa, lavoro, studio e scrittura). Poi, come spesso accade, sono cambiate un po'di cose e caos fu. Adesso ho deciso di dare una svolta. Forse perché siamo a settembre. L'estate è finita. Ed è arrivato il tempo di tornare alla vita normale. Così, adesso, faccio un po'come Rory Gilmour, la protagonista del mio telefilm preferito (Una mamma per amica). Annoto su un foglio tutti i miei impegni e li depenno in corso d'opera. Mi sono rimpromessa in ogni caso di non scadere nella programmazione della giornata da Villaggio turistico. Che fa molto Rain Man. In collegio mi dava noia il menù fisso della settimana, il pesce del venerdì e la pizza e le uova del mercoledì sera, figuriamoci se di colpo mi ritrovassi ad essere completamente padrona del mio tempo e della mia giornata, scandita in precedenza da me, e dovessi rispettare pedissequamente quanto annotato su un foglio la sera precedente. Lo posso tollerare per la scrittura, per lo studio, e magari per altre attività, ma per il resto è alienante. Non voglio diventare come una mia stramba coinquilina che ogni sera stilava il programma del giorno dopo e, se non rispettava gli orari imposti alla sua parte bambina dalla sua Signorina Rottermeier interna, si fustigava. Ancora ricordo la sua "lista". Mattina: ore 7:00: mi alzo. Ore 7:30: Faccio colazione (senza lavare la tazza che quella lascio nel pozzetto e se la vedono quelle sfigate della mie coinquiline studentesse, questo non c'era, ma evidentemente lo pensava). Ore 8:00: esco. E così via. Aveva programmato persino la pausa pranzo: ore 13: pranzo. Ore 13.20: leggo il giornale...TERRIBILE! Lei pensava di essere razionale, organizzata e ordinata. Eppure faceva acqua da tutte le parti. Il programma del campo di concetramento teutonico ad esempio non comprendeva la corvè. Alle pulizie la donna perfetta si sarebbe dedicata quando capitava, cioè quando la sua scrivania sarebbe stata sommersa dalle stoviglie sporche e uno stuolo di parassiti nato, cresciuto e pasciuto nel suo antro puzzolente, era sul punto di divorarla. La strada verso la santità è lunga e faticosa. E non fa per me. Un po'di ordine nella vita, però, non guasta. Perlomeno se vuoi ritornare a combinare qualcosa e non puoi sperare che sia un impiego a scandire il tuo tempo. Anche in questo caso vige il fai da te. E allora, che lista sia. Con moderazione.