lunedì 26 dicembre 2011

E'meglio se te lo aspetti

Non possiamo governare gli eventi. Ci sono giorni in cui regna la noia. Non accade nulla di rilevante. Non facciamo alcun incontro strabiliante e anzi ci imbattiamo in esseri umani già troppo visti per suscitare il nostro interesse. Figurarsi poi quando si è in cerca dell'amore. Solitamente chi si affanna nella ricerca non trova un bel nulla. Reperire un compagno decente è quasi peggio che spulciare offerte di lavoro. E allora è meglio lasciar perdere, perché cercando ci si illude e basta. Spesso si scambiano fischi per fiaschi: la disperazione ti fa accettare persone che sono ben lontane dal tuo modo di essere e di vedere. La chiamano illusione che, condita ad una buona dose di debolezza, potrebbe essere una pozione letale per ogni aspirante amante. E poi, perché affannarsi tanto? L'amore arriva quando meno te lo aspetti. Lo sostengono tutte le tue amiche in vena di consolazione, le nonne te lo ripetono da quando sei nata, e se fosse viva quella tua antenata che ti guarda di sbieco da un quadro antico perennemente impolverato, ti inviterebbe ad avere pazienza e a non perdere la speranza. Ma la pervicacia nel farsi trovare impreparata non giova affatto.
Va bene il quando meno te lo aspetti, va bene l'effetto sorpresa, va bene che l'amore è un attimo e che quando Cupido scocca una freccia dal suo arco pare non vi sia via di fuga e l'essere umano più insignificante ai nostri occhi accecati appare come un Adone, però Eros quando decide di operare potrebbe anche avvisare; non so una telefonata, un sms, un mail su fb...E'possibile che i "fidanzabili" appaiano sempre e solo nei tuoi giorni peggiori?
Quando sei scoglionata e hai indossato il maglione più brutto che hai nell'armadio, che tua madre, priva di gusto, ha acquistato in saldo alla Benetton ed così rosso che un manipolo di fascisti ti ha scambiato per una vecchia partigiana e ti ha rincorso per mezza Roma. Scampata all'eccidio, con i jeans sdruciti e gli stivali puntellati di fango, sei arrivata a lavoro già stanca, sconfitta e, soprattutto, sudata e scarmigliata. Hai provato a darti una sistemata ma i capelli, ricci per giunta, proprio non volevano saperne di obbedire. Risultato: ti sei guardata allo specchio e ti sei trovata più Piccola Fiammiferaia di prima. "Meglio non pensarci", ti sei detta e di bozzo buono, da brava stakanovista, hai preso a faticare sperando che nessuno, come sempre, si accorgesse di te, che nessuno, come al solito, ti chiedesse un consiglio, favore, piacere, informazione di qualsivoglia genere, auspicando che tutti, come di consueto, ignorassero persino il tuo nome...
"Scusi, posso disturbarla un attimo?"
Una voce decisa ha lambito le spiagge deserte del tuo padiglione auricolare e sei stata costretta a sollevare gli occhi, la bocca e il viso.
Una visione: l'uomo che hai sempre sognato è davanti a te e ti sorride.
Non è Jhonny Deep né il commissario Manara. Non si può avere tutto dalla vita, tuttavia lo sconosciuto non è certo da buttar via. Anzi.
Alto, bruno, barbuto.
Composto, serioso, affascinante.
Ti osserva in attesa di una tua cortese risposta e ti regala il suo profilo migliore. Sorride sornione.
Tu, impietrita, ti mordi le labbra, ti guardi lo smalto rosso mangiucchiato che hai sulle unghie e bestemmi in una lingua sconosciuta tutti i santi del paradiso delle shampiste da Paris Hilton a Maria De Filippi passando per Kinsella fino a Carry di Sex in The City.
Lui solleva le sopracciglia e dolcemente domanda:"Allora?".
Tu blateri qualcosa e, rossa per la vergogna, con una scusa, corri a chiamare un tuo collega.
Fine della storia.
Vedete care nonne, amiche, Bridget Jones, Elizabeth Bennet, Jane Austen, Audrey Hepburn, Louise May Alcott, Mina, Natalia Aspesi e Massimo Gramellini, è meglio che te lo aspetti,sennò quando arriva fai la figura della CESSA e quello manco ti si fila: dopo un quarto d'ora di considerazione ti volta le spalle e va a cercar fortuna altrove!

giovedì 15 dicembre 2011

Figli unici o quasi

Collaboratori. Lavoratori a progetto. Esterni che supportano il lavoro altrui. Intercambiabili. Flessibili. Mutevoli. Camaleontici. Questi siamo noi: ragazzi destinati a non avere un'identità lavorativa. Non so se è vero che il lavoro nobilita l'uomo, come recitava una vecchia formula, tuttavia penso che in qualche modo determini la sua esistenza. Soprattutto quando lo si svolge con passione. In tal caso, non è più una questione di "fare" ma appartiene alla sfera dell'"essere". E allora sì che la questione si fa seria.
Ritorniamo agli albori della nostra storia, a quando nonne e nonni ci chiedevano con sussiego: mio caro nipote cosa desideri fare da grande? Come immagini il tuo futuro? Un tempo avremmo voluto essere tutti astronauti e ballerine, oggi solo calciatori e veline. Ma comunque tutti aspiravamo ad un'identità ben definita. Voglio essere un medico, un avvocato, un falegname, una maestra. Insomma, voglio essere qualcuno, qualcosa, contribuire con la mia competenza specifica al bene comune. Mi piacerebbe edificar infrastrutture, scuole, formare coscienze e menti nuove, difendere i diritti in un tribunale o, semplicemente, trasformare l'albero in uno sgabello. Snocciolavamo frasi del genere in compiti in classe, interrogazioni e interrogatori di adulti impiccioni. E ora? Possiamo permetterci lo stesso lusso? Sfido chiunque a non cadere vittima di una vera e propria crisi d'identità durante il suo percorso lavorativo.
"La mattina scrivo un saggio di filosofia; il pomeriggio gestisco una libreria (gratis); la sera faccio il cameriere in una tavola calda da sei anni". La giornata tipo di A., un simpatico ragazzo molisano che ho conosciuto qualche tempo fa, è comune a molti. Ho salvato A. nel mio database alla voce "professore di filosofia" anche se, per la sua vis comica, avrebbe potuto calcare il palcoscenico e fare molti più spettatori di un Checco Zalone qualunque.
Il molisano è una molla. Un individuo Eta Beta, che si è adattato alle diverse situazioni come il das, e ha modellato la sua identità lavorativa in base alle necessità del momento (si deve pur mangiare!). Tuttavia A.,sotto la maschera da precario flessibile-versatile-intercambiabile-scomponibile, è rimasto un professore di filosofia, e adesso finalmente ha ottenuto una supplenza. Ma quanto durerà? Boh!E,poi,chissenefrega. L'importante è non doversi più camuffare da ciò che non si è per poter cambiare. A. non deve sottoporsi a mutazioni degli interessi, del carattere e dell'intelligenza. Non deve reprimersi e può finalmente esprimersi liberamente, nella sua scuola, davanti ai suoi alunni. Ad A. almeno per qualche tempo sarà concesso di vivere in uno stato di grazia. Potrà realizzarsi secondo le proprie capacità, tradurre in atto le sue potenzialità. Poi, forse- mi auguro di no- dovrà nuovamente "accontentarsi", camuffarsi, fingere di essere felice, recitare una parte, vestire abiti non suoi. Ma sorriderà lo stesso, falsamente con un animatore turistico davanti ad una cliente fastidiosa, perché ha bisogno di quel lavoro. A., come tanti altri, sarà costretto, ancora una volta, ad emulare il signor Cohn, un apolide, patriota di professione.
Cohn è un ebreo "profugo" di cui narra Hannah Arendt in un suo articolo del 1943, intitolato appunto "Noi Profughi". Cohn, sostiene Arendt, pur di non avere problemi e vivere serenamente nella condizione di eterno apolide, abbraccia di volta in volta la cultura del paese in cui decide di dimorare. Rinnega la sua identità. Soffoca il suo essere ebreo in bandiere diverse.
"Il signor Cohn fu un convinto patriota tedesco, poi divenne un francese e poi ancora...", scriveva la Arendt. A seconda del paese in cui si trovò a risiedere, Cohn cambiò abitudini, lingua e cultura. Non solo si adattò, ma si reinventò completamente cancellando le tracce della precedente nazionalità. Noi precari, giorno dopo giorno, dobbiamo fare la stessa cosa. Adeguare il nostro cv, i nostri titoli, le nostre competenze, e finanche le nostre aspirazioni, al mercato. Tutto ciò per ottenere un lavoro che, secondo la nostra magnifica Carta Costituzionale, ci spetterebbe di diritto. E se, apparentemente, l'equilibrismo del precario sembra che non abbia alcuna influenza sulla psiche dei "sine labor sine die", a lungo andare, invece, potrebbe logorare anche gli animi più forti, così da arrivare ad una selezione naturale. Sopravviverà chi, nonostante tutto, è riuscito a non impazzire, a non farsi travolgere dalle perenni crisi di'identità e a non perdere di vista il proprio obiettivo; chi è rimasto precario sì ma nel proprio settore, chi, nonostante le difficoltà, non ha abbandonato mai del tutto il suo vagone e con tenacia e caparbietà- il che non vuol dire che non abbia attraversato momenti bui, che non sia stato costretto ad accettare dei compromessi con se stesso e le sue reali inclinazioni-, come un vecchio asino lucano, stanco ma ostinato, ha perseverato.
E'dura ma la natura non si può mutare né occultare a lungo. Se si ha una vocazione ad essere, prima o poi, il nostro vero mestiere verrà fuori, come l'ebraismo del signor Cohn, e allora non basteranno i limiti, i paletti, gli argini mentali né i trucchi e gli abiti di scena, che negli anni ci siamo cuciti addosso per necessità, a salvarci da noi stessi. L'essere squarcerà il velo dell'apparenza, la lava incandescente della volontà si riaccenderà sotto le ceneri della tranquillità, dell'abitudine e della maturità, e noi finalmente potremo essere solo ciò che siamo e svolgere il lavoro che abbiamo sempre desiderato.
L'essere non si può fermare. Ad un certo punto esplode rovinosamente ed è difficile arginarlo. Ci dà la carica, la forza di risalire la china, e continuare a lottare nonostante la crisi, i debiti, il precariato e la disoccupazione. Non possiamo spegnere il motore della vita di ognuno: la passione.

Mi è costata così tanto la mia coerenza che oggi la trovo quasi assurda. Quando ero ciò che volevo, e il mio essere corrispondeva quasi del tutto al mio fare, mi sentivo in colpa perché il mio lavoro non era percepito come tale. Che lavoro è se viene svolto da casa, con mezzi propri e senza un'adeguata retribuzione? Si viene riconosciuti come "chi fa questo", come "il professionista tal dei tali", dal mondo circostante, dagli altri, dai colleghi, dai lettori magari, ma per la società si rimane dei collaboratori, ovvero l'ultima ruota del carro maltrattata e sottopagata. E, per i propri genitori, ci si tramuta in una scomoda voce del libro paga: un mangiapane a tradimento, un emerito parassita. Quindi, anche qualora l'essere coincida col fare, di questi tempi, si rischia di vivere male. E tu stesso ti chiedi quando ti verrà riconosciuto lo status di "lavoratore", quando smetterai di lavorare-con una balia-supervisore o o altro e diventerai finalmente un soggetto autonomo.
Un giorno forse queste mie domande troveranno una risposta, un giorno forse potremo pensare al futuro liberamente, potremo addirittura tornare a sognare e a credere che i nostri sogni possano diventare realtà senza eccessivi spargimenti di sangue. Quel giorno, però, credo sia di là da venire.

mercoledì 7 dicembre 2011

Certi incubi poi

Immaginate di stare dormendo e di sognare. A me capita molto spesso. E soprattutto in questo periodo. Essendo squinternata, i sogni non possono essere "normali". Quindi ne vengono fuori dei veri e propri fantasy, roba da fare invidia a Tolkien e Licia Troisi messi insieme. Stanotte, per esempio, ne ho partorito uno davvero assurdo. Prima cosa impossibile: io che faccio l'esame da giornalista professionista( non accadrà mai, per fortuna o purtroppo non so). Mi siedo in una stanza pressoché buia e comincio a scrivere un tema di attualità. Quando ho finito mi alzo col terrore sul volto e mi allontano dall'aula come se fosse la casa delle streghe. Dopo svariati giorni, incredula, apprendo di aver superato l'esame. Non che non possedessi l'argomento affrontato, non mi ricordo di cosa stessi scrivendo di preciso, ma sono quasi certa che si trattasse di narcos mssicani.Quindi perché dolersi? Perché struggersi, preoccuparsi, dannarsi l'anima? Eh, perché?
Una persona che supera un esame di solito dovrebbe essere lieta,io, invece, ero angosciata. Come se non bastasse, poi, nel non-luogo in cui si svolgeva il mio film notturno, ad un tratto è comparsa una pista di pattinaggio sul ghiaccio, la mia amica e collega Ines (che adesso è in Egitto dove non penso nevichi), e un cielo plumbeo. Uno scenario che non prometteva nulla di buono.
Chiacchiere e racconti, Ines mi consola, cerca di tirarmi su. Inizialmente non comprendo quale sia la causa del mio rovello. Ma poi, ecco, che mi appare una visione, una sorta di epifania molto proustiana; il direttore di un giornale, che non è il mio, mi ferma nel corso di una festa e mi dice che ha apprezzato molto il mio compito sui narcos ma devo stare attenta agli errori di ortografia. "Ce ne era qualcuno di troppo nel compito", chiosa.
Sogno o son desta?, mi sono chiesta. Eppure ho continuato a dare sfogo alle mie paranoie. "Che figura, il direttore mi stimava ed ora mi reputa un'idiota. Ma come ho potuto?Io, proprio io? Che vergogna! Cosa direbbero i miei insegnanti se lo sapessero...": la serie infinita di pippe mentali suonava più o meno così e io ci sono caduta dentro. Annaspavo disperata. Più provavo a venire fuori dai miei tomenti più ci ricadevo. Stava diventando davvero difficile uscirne, quando un trillo, un fastidioso suono ha fatto crollare l'oscura scenografia. La sveglia mi ha salvato dal mio inconscio.
Prima di andare a dormire, sarebbe opportuno farsi una bella tisana e leggere una fiaba. Per lo meno al posto degli inquietanti direttori di giornale potrebbe capitare di sognare avvenenti principi azzurri e simpatiche fatine. Anche se so che non è vero, è molto meglio una semplice illusione di una brutta realtà.

giovedì 1 dicembre 2011

Gli anni sbagliati

Ci sono periodi della nostra vita in cui ci sentiamo sospesi. Ci sembra di vivere in un non-tempo, e ci chiediamo se effettivamente quella vita ci appartiene. E'questa forse la mia vita? Chi è costui o costei che agisce, parla, si muove, cammina, servendosi del mio corpo, di me? Sono domande che alcuni non si pongono mai. Forse perché le considerano retoriche. Le risposte sono pressoché scontate. Ma non siamo tutti uguali. Purtroppo, direi. A volte sarebbe meglio evitare di interrogarsi sul senso delle cose, della propria vita, basterebbe viverla. Eppure se si arriva a porsi certi quesiti evidentemente non si è certi che la vita che si sta vivendo sia la migliore tra quelle possibili. Non lo so. Penso, però, che ognuno di noi abbia bisogno del suo non-tempo,di una sorta di bozzolo nel quale nascondersi per poter poi sbocciare e rifiorire al momento opportuno. Migliore di prima e più conforme al suo essere reale. Ognuno ha bisogno di fuggire a rifugiarsi in un non-tempo per poter poi ritornare al suo tempo consapevole di sé stesso e delle sue reali potenzialità.
I non-tempi ci aiutano ad accettare le distorsioni dei nostri tempi che avremmo voluto diversi, almeno speravamo che si avvicinassero a ciò che sognavamo da bambini quando giocavamo con le bambole o alle maestre e immaginavamo per ciascuna di noi un radioso futuro da donna in carriera. Ma non tutte le Barbie finiscono ad ancheggiare su un tacco dieci ai vertici di un'azienda (menomale) anzi, col senno di poi vale la pena rivalutare Tania, quella che Barbie non era, ma ti rassicurava perché aveva un'aria più italiana e meno irraggiungibile. A guardarla, oggi, da laureate-masterizzate-un po'sfigate, ci si sente meno fallite. E ci si augura che un giorno tutto cambierà, e le nostre figlie potranno giocare con delle bambole migliori che rispecchino quanto meno degli ideali femminili più sani e, soprattutto, non maschilisti.
Chissà come sarà la Tania del futuro, chissà come sarà l'Italia del futuro. Chissà se riusciremo a mettere al mondo dei figli, noi della generazione sbagliata, noi che siamo nati nel momento sbagliato. Ci si illudeva che nascere in concomitanza con la vittoria di un mondiale di calcio fosse una bella fortuna ma, a conti fatti, sarebbe stato meglio venire al mondo qualche anno prima, quando si andava in piazza a lanciar le bombe. Sì perché, noi bambini dell'80, cresciuti a Nesquik e Bim Bum Bam, siamo stati prima costantemente riformati e poi fregati.
La storia ha avuto inizio alle superiori: riforma degli esami di stato, introduzione dei "crediti" al liceo, e nuove prove da superare. Va bene. Ci prepariamo per tre anni, impariamo l'analisi testuale, scriviamo articoli di giornale, e rispondiamo a domande aperte sui più svariati argomenti. Ce l'abbiamo fatta. Con la maturità in tasca varchiamo la soglia dell'università e ad attenderci troviamo un'altra sorpresa che si chiama, tanto per cambiare, riforma universitaria altrimenti detta "nuovo ordinamento". Eccoci a Roma, eccomi alla Sapienza.
Pensi che qualcuno ti darà una dritta, credi che poiché sei all'interno di un grande ateneo sia tutto ben organizzato, strutturato, delineato. Ma capisci che stai inseguendo l'ennesima chimera quando il tuo tutor disperato ti domanda:"Signorina lei ha capito la riforma?". E tu, immaginando che sia un tranello, che lui voglia testare la tua preparazione, ringalluzzita, ribatti:"Beh, sì...Abbastanza". Ovvero: "Forse c'è qualche punto che non mi è molto chiaro ma in linea di massima sì, penso di averla compresa". E lui, affranto:"Beh, allora me la spieghi perché io non ci ho capito molto. Sa, ero abituato ad un altro genere di università".
E meno male che lui era il tutor! Chi ben comincia è a metà dell'opera, dicevano gli antichi. Ma quando mai? Non c'è limite al peggio!
I ministri dell'istruzione sono cambiati, le loro idee sull'università pure, e anche i tuoi crediti. Ti sei iscritto alla specialistica, hai dovuto fare degli esami in più e,anche se il tuo preside di facoltà armato di bacchetta magica ha tramutato esami di estetica in esami di storia dell'arte per poter agevolare la tua iscrizione ad un corso di laurea magistrale appena nato, hai dovuto sgobbare più degli altri. Ma ti consolato raccontandoti che la conoscenza è un tesoro di inestimabile valore. Peccato che il mondo del lavoro non la pensi allo stesso modo. Così, da studente lodato e apprezzato, in tempi di crisi, dopo 20 anni di Mediaset, ti sei trovato ad essere un lavoratore troppo qualificato...
Volevo nascere quando Paolo Rossi non giocava nell'Italia, volevo nascere quando Barbara Palombelli e Lucia Annunziata tiravano sampietrini per strada, forse anche un po'prima, così magari a quest'ora condurrei in Mezz'Ora o al massimo starei in radio.
Volevo nascere meno sbagliata e meno sfigata, ma sono nata nel 1982, sono cresciuta con Baggio e Bonolis, e ogni notte sogno il funerale di Berlusconi proprio quando l'Italia sta per uscire dall'euro e ho ottenuto, oltre alle solite collaborazioni, anche il tanto agognato lavoro precario. Pensione? Cos'è? Un nuovo spred, un bond o un btp?
Certo Barbie non aveva di questi problemi né tanto meno Tania; a loro bastava sorridere cosparse di lustrini, o al massimo scimmiottare Miss Italia, per sopravvivere nelle nostre camerette rosa. Noi, invece, tutto ciò che abbiamo dobbiamo farcelo bastare e sperare che la situazione non peggiori. A volte vorrei tornare bambina e fuggire via a bordo di una scopa con la mia Baby Mia. Ad avercela!(la scopa o baby mia? Entrambe: ma posso sempre usare la folletto e il mio orsacchiotto: mutando l'ordine dei pupazzi, l'evasione dall'incubo non cambia).