domenica 24 luglio 2011

Tranquilla, ti ho appena sputtanata

Nella Repubblica dei Normali è invalsa l'abitudine al protocollo, altrimenti detta "forma". Le formalità sono presenti in ogni dove. Ci sono persone formali ed ipocrite per natura e altre che si attengono al decalogo della borghesia. Per capire di cosa sto discettando oggi, partiamo dalle parole. I giochi linguistici sono fondamentali nella Repubblica dei Normali.
Un termine chiave è "tranquilla". Quando ti dicono, o peggio scrivono, "tranquilla", non c'è da stare tranquilli affatto. E'una formula elegante per nascondere la realtà: sono delusi da te,non voglio ricevere alcuna spiegazione perché si sono già fatti un'idea di come agisci, e non c'è nulla da fare.
I loro metodi investigativi sono infallibili. Nemmeno Montalbano potrebbe mettere bocca sull'esito delle loro indagini. Conoscono a tal punto la vita da poter giungere in breve tempo ad una conclusione. Si tuffano come Paperon de Paperoni nei loro database dei tipi umani, trovano un'etichetta adatta a te e te la cuciono addosso. Tu sei così e non può essere altrimenti perché l' hanno deciso loro; hai agito in questo modo per un determinato motivo, che loro conoscono e tu no, e non c'è possibilità di recuperare. Qualunque tentativo di difesa da parte tua sarebbe inutile. L'impianto accusatorio del pm ai loro occhi non fa una piega, i legali si astengono dalla difesa, l'imputato, cioè tu, caro sfigato, non godi di alcun diritto, e il tribunale emette la sentenza in un baleno. Condanna definitiva in primo grado senza appello ma... Tranquilla, non è successo niente.
Ti ho appena piantato un coltello nella schiena, ho rovinato mesi di fatiche, fatto crollare castelli di fiducia e impalcature di confidenze, abbracci e sorrisi, ma... Tranquilla, è tutto a posto.
Ho parlato male di te al mondo, ti ho fatto fare figuracce preventive, ti ho tolto il saluto, cancellato da fb, cancellato dalla mia vita, ma...Tranquilla, nessun problema.
Quando ti avvicini a me, mi allontano. Non posso farmi vedere con te, se ti incontro in pubblico ti ignoro, ma...Tranquilla, che cara che sei!
Ho covato rancori, invidie e gelosie nei tuoi confronti, ho filmeggiato per mesi sulle tue azioni, ti ho vivisezionato, analizzato e ingiuriato in più occasioni, sempre alle spalle, ma...Tranquilla, amici come prima.
La forma, l'apparenza, è salva. Formalmente nessuno ha litigato con nessuno. Eppure di sangue e, soprattutto, di fango ne è stato sparso parecchio. Fiumi di mota sono stati riversati su di te. E, prima che qualcuno si ricreda, passerà del tempo. Intanto la tua immagine agli occhi dell'altro è ormai compromessa e se questo qualcuno ha la tendenza a fare chiacchiere con molte persone, nei posti angusti, anche la tua reputazione è andata. Basta in ogni caso che la persona in questione parli con quelli del suo clan, col suo gruppo, che già verrai guardata male. E quel "tranquilla", lemma quanto mai ipocrita, ne è la testimonianza. Non mi espongo né per difenderti né tanto meno per confrontarmi con te perché le liti sono "incivili", "volgari", troppo proletarie; metto a tacere ogni cosa con una formula ipocrita e nel frattempo preparo la mia vendetta che non si consumerà mai apertamente.
Frecciatine, cattiverie e meschinità disseminate qua e là nel corso del tempo, nei momenti meno opportuni, ti faranno capire come e dove hai sbagliato (sempre che le sortite di cattivo gusto siano chiare e non ambigue). Solo allora comprenderai che sei stato bollato, etichettato, taggato, per dirla alla facebook, ma nessuno- forse uno ci ha provato, vai a capire- ti ha chiesto una spiegazione del tuo gesto. Al primo errore ti hanno isolato.
E'comodo farsi guidare dal pregiudizio. E'comodo leggere le persone come ci pare. E'comodo far indossare loro abiti che non gli appartengono. E'meglio per tutti. C'è un manuale del comportamento, fatto di regole non scritte ma ben precise, che viene adoperato sovente in certe società, e il principio cardine di esso è: non dire, non farsi capire, nascondersi. Per non diventare vulnerabili e per non essere attaccati, affinché la propria vita non venga strumentalizzata e non si diventi oggetto di chiacchiericcio, in poche parole "un caso" da trattare in cene, riunioni ufficiali ed altro, è bene recitare. Fingere. Gabriele Lavia sostiene che il teatro è vita ma per molti la vita deve essere un palcoscenico sul quale portare in scena il proprio personaggio costruito ad arte. Infatti spesso capita di sentir dire "il suo personaggio è così" o di essere trattati- soprattutto se si fa un determinato lavoro- non come una persona ma come un brand. Come se non si avesse una vita, come se non fossimo una "psyche" ma solo un "soma" griffato. Questo è detestabile e fa scattare un meccanismo di autodifesa abbastanza ovvio. Ci si mostra per come si è ad una piccola cerchia di eletti, non ipocriti, formali, invidiosi e altro, e col resto del mondo si recita a soggetto.
Le squinternate come me non amano la forma. Certo in alcuni ambienti è necessaria, si sa, soprattutto sul lavoro. Formalità assoluta. Ma nella vita reale la squinternata non sarà mai formale. Perché il disordine è spontaneo e sincero, non è costruito, e come tale, non può convivere con l'ipocrisia dilagante. Ci confineranno su Marte.
C'erano tempi in cui la diversità era bellezza...Dice la Cantantessa...

4 commenti:

  1. Lucida rilfessione sui rapporti umani. Le dinamiche che hai descritto sono ricorrenti, soprattutto negli ambienti circoscritti. La maggior parte delle persone, ricerca i rapporti edulcorati, comodi; Si tende a semplificare il complesso per la stessa ricerca di comodità e le persone sono ridotte a stereotipi tascabili e di facile consumo. Il rito tribale del confronto viene vissuto come sconveniente, un fastidio da glissare quanto prima e da evitare se possibile. Dici: "Al primo errore ti hanno isolato." Vero, ma mi viene da chiedere, sei proprio certa che quello fosse il tuo posto? Chi ci tiene a te, o ha semplicemente l'intelligenza di chiedersi il perché delle cose, si interrogherà sul motivo alla base di un comportamento "strano". Se questo non avviene non vuol dire che si è migliori o peggiori di chi si comporta in questo modo, però è chiaro che si è diversi, non si ha magari nulla da condividere in modo compatibile con quelle persone. Poi il giudizio di una persona conta quanto il valore della persona stessa, non dovremmo dare lo stesso peso a tutto quello che viene detto su di noi. Il peso del parere di chi mi è più vicino ha un valore maggiore di quello di un conoscente, è questione di gravità o attrazione planetaria :)

    Quello che siamo davvero è un gioiello prezioso avvolto da stracci più o meno pregiati. La possibilità di accedere a questo nucleo dovrebbe essere una conquista e un dono, forse è un bene che non sia per tutti.

    Un altro squinternato

    Angelo

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  2. Sicuramente è vero, caro Angelo, che chi ci tiene a te non si accontenterà di formule precostituite, cercherà il confronto e proverà quanto meno a comprendere, vorrà conoscere il motivo reale del tuo comportamento. Ci si dovrebbe difendere un po'di più il proprio essere. Di questo ne sono convinta, perché gli altri sono crudeli e riescono a farti sentire un inetto. Mi viene in mente un racconto evangelico in cui Cristo suggerisce questo comportamento: se qualcuno non vi vuole, pulitevi i piedi sul tappeto e uscite dalla sua casa. Me ne parlò un amico una volta. La morale è: chi non ti accetta per come sei, non ti merita né ti ama. E'inutile sforzarsi, se una persona rimane un outsider, non è quello il suo posto, come scrivi tu. Penso che si debba avere la bontà di riconoscere quale sia davvero il nostro posto nel mondo, qual è il nostro ambiente, se c'è. A volte capita che certe persone vedano più in là di altre, che siano avanti per risiedere in certe società arcaiche e in certi gruppi e sono per alcuni "inaccettabili". E'importante trovare un gruppo o un luogo in cui si è amati e accettati per ciò che si è. Ho letto un libro, "Verrò a trovarti d'inverno" di Cristiana Alicata, lei approfondisce quest'idea di "comunità", in senso di famiglia, gruppo di eguali in cui non ci si sente diversi. Un concetto che viene espresso molto bene anche da Tommaso, il protagonista del film "Mine Vaganti".
    Gli altri non capiscono nemmeno lo sforzo che fai per adeguarti e penso in ogni caso che sia sbagliato adeguarsi a qualcuno o a qualcosa. Ci ho provato e non mi si addice. Però se prima facevo valere la mia diversità, adesso mi allontano e basta in silenzio. Come diceva il profeta, certe persone non sono degne di considerazione. Ma in ogni caso la mina vagante che incrina l'equilibrio dovrebbe indurre ad interrogarsi sul proprio essere e sull'essere altrui. Ognuno di noi ha un suo posto nel mondo, io forse devo ancora trovarlo, ma vorrei che la mia esperienza di disadattata servisse ad altri. Ecco il motivo di questo blog. GRazie per il tuo intervento.

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  3. Purtroppo ho provato e subito sulla mia pelle quel senso di "non appartenenza",di etichettatura forzata e sminuente, e inizialmente ho vissuto la cosa con amarezza, con rabbia, cercando di far valere le mie ragioni, di chiarire la mia posizione. Ho capito successivamente che impiegare le proprie energie a cambiare il modo di vedere degli altri è un esercizio inutile e faticoso (oltre che arrogante). Siamo tutti quello che siamo, nel bene e nel male. Sono sicuro che da "mina vagante" sarai stimolo per tutti quelli che hanno il coraggio e l'intelligenza di mettersi in discussione. Esistono, te l'assicuro, non sono molti ma la loro esistenza è comprovata ^^ Ottenere questo è già tanto. Come scrivi "E'importante trovare un gruppo o un luogo in cui si è amati e accettati per ciò che si è", perché spesso siamo costretti, per lavoro, a subire contesti avvilenti e mortificanti e tutti abbiamo bisogno di un po' di ossigeno. Un gruppo si costruisce sempre intorno a qualcosa di condiviso basta sapersi guardare intorno.

    Grazie a te per gli spunti di riflessione. Tra l'altro hai una prosa molto piacevole e nitida che svela una bella lucidità di pensiero. Non mancherò di leggere anche gli altri tuoi post.

    Conserva la fierezza di essere una "squinternata".

    Angelo

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  4. Condivido appieno le tue osservazioni. Grazie a te per le tue riflessioni e per i complimenti alla prosa. E continua a seguirmi, è un piacere poter scambiare opinioni e pareri con te.

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