sabato 7 luglio 2012

Finché c'è passione c'è speranza

La crisi ormai è il nostro argomento preferito. La parola "crisi" viene pronunciata, scritta e letta milioni di volte al giorno, tanto che abbiamo preso a considerarla familiare. Non trascorriamo un giorno senza di lei. E per molti è divenuta un alibi per giustificare la propria disoccupazione. Prima era tutta colpa di Silvio Berlusconi, adesso è tutta colpa della crisi. Ma, mi domando, il termine "crisi" ha solo un significato negativo o può avere dei risvolti positivi? Il lemma deriva dal verbo greco "Krino"che, letteralmente, significa "discernere, scegliere, deliberare". La mia prof di greco, la mitica Grazia Oppido, mi ha insegnato che dallo stesso verbo deriva il termine dialettale "cernecchio" che sta ad indicare l'arnese per "cernere" "dividere" la farina dalla crusca; dividere cioè ciò che è buono, commestibile, utilizzabile, da ciò che non lo è. Quindi la frattura, la rottura, la crepa, la messa in discussione del mondo in cui viviamo, il crollo delle nostre certezze granitiche, di certe istituzioni, non è affatto deprecabile. Anzi, è utile a distinguere il bene dal male, a farci comprendere cosa va eliminato e cosa invece può essere mantenuto, quali sono stati gli errori commessi e come si può ripartire, quali ingredienti deve contenere il mondo che abbiamo l'opportunità di creare ex novo. E'inutile piangere sul latte versato. Inutile puntare il dito. Inutile persino emettere sentenze di condanna. Inutile ancora far notare che abbiamo studiato, faticato e sgobbato sognando di realizzarci in un mondo che non c'è più. La crisi ci spinge a discernere: a reagire. Qualcuno leggendo penserà:"Sì, belle parole...Reagire? Ma come?". REINVENTANDOSI. Ripartendo dalle proprie passioni. Ciascuno di noi ne ha almeno una. E allora perché non capitalizzarla, non sfruttarla. Magari se le cose fossero andate come avevamo previsto, se avessimo seguito il percorso prestabilito, che sarebbe stato ancora in auge se il sistema capitalista non fosse crollato, se la scure della "crisi" non si fosse abbattuta sui nostri nidi, non ci avremmo mai pensato. E quel nostro talento, quella nostra particolare attitudine, sarebbe rimasta nel cassetto degli hobby e l'avremmo tirata fuori solo nel tempo libro e solo per riempire un vuoto. Raschiamo il fondo del barile e vediamo un po'cosa riusciamo a tirare fuori dai nostri cilindri. In fondo l'hanno già fatto i nostri nonni nel dopoguerra. Se non si fossero ingegnati in qualche modo a quest'ora ci saremmo estinti. Le lauree non servono a nulla se le teniamo appese al muro o stampate su un cv. Accendiamo le menti. Il lavoro che avremmo voluto svolgere o non c'è, o è precario o poco remunerato. Bene, che faccio? Come vivo? Piango? Voglio vivere in un posto ma non posso. Chi l'ha detto? Perché mai dovrei subire le decisioni di un SISTEMA? Ho diritto o no ad autodeterminarmi? Se i diritti mi vengono negati, io me li riprendo con gli interessi. Alcuni ragazzi e ragazze italiane lo hanno già fatto. Piuttosto che perdere tempo e intestardirsi a volere essere l'eccezione che confermare la regola, si sono inventati un lavoro mettendo a frutto una passione. Le loro storie si possono leggere sull'ultimo numero del magazine Walk on Job. Si tratta di trentenni, laureati, alcuni ricercatori, praticanti avvocato, che hanno deciso di fare gli artigiani. Si sono messi in proprio e adesso lavorano e, soprattutto, sono soddisfatti. Si vis, potes! Biblioterapia A tutti i "disillusi", i net( non studio, non lavoro, non guardo la tv...), consiglio di leggere "Cosa tiene accese le stelle", di Mario Clabresi, giornalista, direttore de La Stampa di Torino. Il libro, edito da Mondadori nella collana Strade Blu, già disponibile in versione economica (12 euro), mi è capitato per le mani in libreria in un momento di disperazione. Ho preso subito a sfogliarlo incuriosita, e ho divorato le pagine che contengono i dialoghi di Calabresi con Gramellini, Mario Deaglio(quest'ultimo, economista di chiara fama, purtroppo è il marito della Fornero) e Giuseppe De Rita. Menti illuminate attente a registrare giorno per giorno i cambiamenti e le storture del nostro paese. Leggendo mi sono convinta che le passioni non sono un danno, ma un dono. Perché chi coltiva caparbiamente un interesse può avere una battuta d'arresto, ma poi basta una scintilla che il motore riparte, ricomincia a carburare. Il guaio è degli apatici, dei tiepidi, di chi si ostina a dipingere orizzonti oscuri e irti di nubi: non sanno cosa significa sentirsi vivi perché il fuoco sacro di una maledetta passionaccia non ha mai incendiato i loro animi né fatto brillare i loro occhi spenti.

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